
Conoscere le droghe e i loro effetti è fondamentare per affrontare il problema: la famiglia deve saper riconoscere i segnali e prendere coscienza dei rischi per ora e per tempo, perché la resistenza di un figlio “scoperto” si trasforma presto in chiusura, se non addirittura in netto antagonismo e violenza.
L’indifferenza e l’insofferenza per gli interessi di sempre, gli amici di sempre, i doveri di sempre, prendono il sopravvento, e la partecipazione a qualsiasi cosa – vita familiare, lavoro, studio – si fa debole. Occhi arrossati, sorriso immotivato, frequenti momenti di assenza mentale, predilezione per i dolci fanno sospettare l’uso di hashish o marijuana. Occhi lucidi, pupille a spillo, tendenza a grattarsi, sonnolenza, inappetenza, vomito, dimagrimento per l’eroina. Rapidissimi sbalzi d’umore, dall’euforia all’abulia, ingiustificati movimenti della bocca, pallore di labbra e lingua per la cocaina.
Non si può aiutare chi non vuole essere aiutato
Uscire dal tunnel dalla droga non è possibile senza che la persona tossicodipendente lo voglia. Lo stimolo a uscirne deve essere interiorizzato dalla persona interessata, perlomeno se si vuole che il programma di recupero funzioni e non lasci spazio a ricadute. Ad aiutare tossicodipendente e famiglia possono essere i servizi pubblici e i centri di recupero, ma fin troppo spesso la strada è senza alcuna uscita. Qui entra in gioco l’amicizia, che per i suoi valori ed effetti può riuscire con mezzi efficaci e determinati a salvare una vita, laddove la famiglia non può, o semplicemente non riesce non perchè non vuole ma semplicemente perchè non può. Abbandoniamo dunque l’omertà, prendiamo consapevolezza di un problema, e riscopriamo il valore di poter/dover aiutare, magari riusciamo a salvare una o più vite umane.
Daniele Imperiale