Martin Luther King è stato uno dei principali simboli della lotta afroamericana per i diritti civili.
Il 3 aprile 1968, aveva tenuto un discorso appassionato, I’ve Been To The Mountaintop (Sono stato sulla cima della montagna), l’ultimo della sua breve e intensa esistenza.
Bene, non so ora che cosa accadrà. Abbiamo dei giorni difficili davanti a noi. Ma ora non importa. Perché sono stato sulla cima della montagna. E non mi interessa. […] Voglio solo fare il volere di Dio. E Dio mi ha permesso di salire sulla montagna. E di là ho guardato. E ho visto la Terra Promessa. Forse non ci arriverò insieme a voi. Ma voglio che questa sera voi sappiate che noi, come popolo, arriveremo alla Terra Promessa. E questa sera sono felice. Non ho paura di nulla. Non ho paura di alcun uomo.”
Un discorso che, con toni profetici, siglò il suo addio. Il giorno seguente, infatti, il 4 aprile 1968, Martin Luther King fu ucciso con venti colpi di pistola, a Memphis, nel Tennessee, da uomini bianchi, da coloro a cui chiedeva uguaglianza per quei neri che da secoli vivevano in un regime di segregazione, privi di diritti e inferiori per dignità.
Attivista statunitense, pastore protestante, paladino e “redentore della faccia nera”, di emarginati e di minoranze, militante disarmato della resistenza non violenta e predicatore dell’ottimismo creativo. Un martire del nostro tempo, immolatosi per l’uguaglianza dei diritti di ogni uomo, nei difficili anni Sessanta, per portare la comunità nera verso la distruzione di ogni pregiudizio etnico e razziale.