Il Documento approvato dalla Commissione parlamentare per le Questioni regionali (varato al termine di una indagine conoscitiva durata mesi e con molte audizioni) sulle “forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al sistema delle conferenze” è stato illustrato nel corso di un convegno a Roma il 27 ottobre.
Il testo propone in conclusione alcuni possibili possibili interventi di riordino del sistema di raccordo tra Stato e autonomie.
In un primo scenario prova a fornire delle “Prospettive a Costituzione vigente”
“La legge costituzionale n. 3 del 2001 individuava peraltro, all’articolo 11, uno strumento volto a garantire alle autonomie territoriali la partecipazione al procedimento legislativo attraverso l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti di Regioni, Province autonome ed enti locali e attribuendo un valore rinforzato ai pareri resi dalla medesima Commissione su disegni di leggi concernenti materie incidenti su competenze regionali o sull’ autonomia finanziaria regionale e locale”.[…] Nel corso dell’indagine conoscitiva, la mancata integrazione della Commissione è stata più volte richiamata come una delle cause che hanno contribuito all’ insorgere dell’elevato contenzioso . […] L’attuazione di questa norma “potrebbe costituire uno strumento per assicurare ‘a monte’, nell’ ambito del procedimento legislativo, il rispetto del quadro delle competenze delineato dal titolo V della Costituzione”. “La Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata potrebbe poi divenire il punto di riferimento per valorizzare il rapporto tra conferenze (anche orizzontali) e Parlamento”.
Un secondo intervento necessario è la razionalizzazione del ‘sistema delle conferenze’, mai adeguato alla riforma del titolo V. Possono essere in tal caso riprese proposte di semplificazione già avanzate nel corso degli anni” come “l’istituzione di una Conferenza unica, articolata in una sede plenaria e in due distinte sezioni (regionale e locale)”.
Si potrebbe anche ipotizzare “una co-Presidenza ed assicurando una maggiore partecipazione degli enti territoriali alla formazione dell’ordine del giorno” e “gli atti di natura più squisitamente tecnica potrebbero essere esaminati adottando iter specifici semplificati, quale quello attualmente riservato alla materia agricoltura, con riferimento alla quale opera efficacemente il Comitato tecnico permanente di coordinamento, istituito già nel dicembre 1997″.
Sotto diverso profilo, si registra l’assenza di una vera sede politica in cui il Governo nazionale e gli Esecutivi territoriali si confrontino sulle grandi scelte strategiche per il Paese. È stata in proposito proposta l’istituzione di una Conferenza degli esecutivi, composta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, che si riunisca una o due volte l’anno per delineare un’agenda politica condivisa tra Governo centrale e territori.
Il secondo scenario è quello legato alle prospettive di una Costituzione modificata.
“La mancata trasformazione del Senato in una Camera delle Regioni è sempre stata considerata l’elemento mancante della riforma del 2001″. […] Il nuovo Senato funzionerà dunque quanto più riuscirà a divenire sede di composizione degli interessi nazionali e dei territori, in quell’ottica di leale collaborazione che costituisce principio fondativo dei rapporti tra Stato ed autonomie. Al fine di assicurare al Senato una vera capacità di rappresentanza degli enti territoriali, sia esponenti istituzionali che accademici hanno sottolineato la rilevanza strategica della presenza dei Presidenti di Regione.[…] Ove si ammettesse la possibilità per la legge elettorale di imporre tale presenza, vi sarebbero comunque molte Regioni (quelle che sono chiamate ad individuare due senatori) che sarebbero rappresentate solo dal Presidente e da un sindaco, che in virtù dei carichi di lavoro istituzionali potrebbero non essere in grado di assicurare una presenza costante all’attività del Senato. In assenza di una scelta in tal senso della legge elettorale, la presenza dei Presidenti sarebbe in ultima analisi rimessa alla volontà dei singoli Consigli regionali. In ogni caso, i Presidenti sarebbero presenti in Senato non in funzione del ruolo di vertice nella Regione ma in virtù dell’elezione da parte del Consiglio regionale, al pari di tutti gli altri consiglieri-senatori; la loro presenza pertanto potrebbe rilevare più sul piano politico che su quello dell’assetto istituzionale”.[…] Appare dunque più utile proporre anche un approccio di tipo diverso”. partendo da alcune considerazioni. “La funzione essenziale del nuovo Senato è costituita dal raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali, funzione di raccordo che allo stato risulta in massima parte affidata al ‘sistema delle conferenze’. Il ‘sistema delle conferenze’ ha infatti finora svolto un ruolo di supplenza all’assenza di una sede parlamentare di confronto e mediazione tra centro ed autonomie[..]. Il rapporto tra Senato e conferenze diviene dunque centrale nel nuovo assetto istituzionale. L’indagine conoscitiva ha evidenziato che il ‘sistema della conferenze’ non può ritenersi superato dalla riforma costituzionale. La molteplicità di funzioni svolte fa sì che molti compiti delle attuali conferenze, soprattutto quelli meramente amministrativi e tecnici, non possano essere trasferiti al nuovo Senato. In particolare, mal si prestano ad essere trasferite ad un ramo del Parlamento quale è il Senato, le procedure di carattere negoziale che tipicamente sfociano nelle intese o negli accordi.[…] Il ‘sistema delle conferenze’ non può dunque essere soppresso ma dovrà essere ampiamente rivisitato. […]”Le modifiche apportate dalla riforma costituzionale al titolo V, […] segnano nel loro complesso un riaccentramento delle competenze. […] Per l’individuazione delle funzioni attribuite alle conferenze che devono essere traslate al nuovo Senato, è stata proposta la tradizionale distinzione tra funzioni di carattere legislativo e funzioni di carattere amministrativo: le prime dovrebbero essere trasferite al Senato, mentre le seconde resterebbero di competenza delle conferenze. Se appare condivisibile l’assunto che la funzione consultiva svolta dalle conferenze nell’ambito dei procedimenti legislativi debba ritenersi assorbita dal ruolo del Senato nel procedimento legislativo delineato dal nuovo art. 70 Cost., il riferimento alle funzioni di carattere amministrativo non sembrerebbe sufficiente per tracciare una linea di demarcazione. Queste funzioni riguardano un ambito vastissimo di atti, spaziando da decisioni di assoluto rilievo politico direttamente incidenti sulla vita dei cittadini (basti pensare al Patto per la salute) alla partecipazione ad atti di carattere microsettoriale o riferiti a singoli enti. In tal caso gli atti di maggior rilievo politico, in cui si concretano scelte o indirizzi che incidono sui diritti dei cittadini o sulla vita economica del Paese (si pensi ai grandi piani infrastrutturali, al già citato Patto per la salute, ai piani sociali di rilievo nazionale) dovrebbero essere riservati alla sede parlamentare e quindi al Senato. In questa sede potrà inoltre essere garantita la necessaria trasparenza degli atti e delle procedure, spesso carente nell’ambito delle conferenze.[…] Nulla impedisce – e sembrerebbe anzi auspicabile – che atti unitari possano essere affidati al Senato per ciò che attiene alla determinazione degli indirizzi generali e rimessi alle Conferenze per i profili amministrativi meramente attuativi e tecnici. In tal modo sia il Senato che le Conferenze svolgerebbero un ruolo volto alla ricomposizione degli interessi statali e territoriali, agendo il primo nel campo della mediazione politico-istituzionale e le seconde sul piano più propriamente amministrativo ed attuativo”. Dall’indagine conoscitiva sono emersi molti spunti che inducono a puntare su una sinergia tra il nuovo Senato e le conferenze. Al fine di realizzare questa sinergia, possono prospettarsi due diverse soluzioni, suscettibili anche di operare congiuntamente. In primo luogo, potrebbe essere riconosciuta in Senato la presenza degli esecutivi regionali, prevedendo la partecipazione, oltre che del rappresentante del Governo nazionale anche di un rappresentante dei Governi regionali, espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (e dunque dalla conferenza orizzontale). Se la presenza del Governo nazionale è espressamente mantenuta in Costituzione (art. 64 Cost.), nulla esclude che il Regolamento del Senato disciplini quella dei Governi delle Regioni. In tal modo parrebbe anche superata la questione della presenza di diritto dei Presidenti, in quanto la posizione degli esecutivi regionali troverebbe un riconoscimento formale.[…] In secondo luogo, appare condivisibile l’idea di una istituzionalizzazione dei rapporti tra Senato e conferenze, da realizzare anche, nella sua forma più compiuta, con l’incardinamento delle stesse presso il Senato.[…] Questa istituzionalizzazione dei rapporti dovrebbe interessare tanto le conferenze intergovernative quanto le conferenze orizzontali, con forme e modalità naturalmente differenziate che tengano conto della diversa natura di questi soggetti. L’intervento richiederebbe, per le conferenze intergovernative, l’adeguamento – che peraltro dovrebbe avvenire con legge ad approvazione monocamerale – della legislazione in materia, che dovrebbe operare una razionalizzazione delle stesse ed il superamento del loro incardinamento presso la Presidenza del Consiglio. La disciplina dei rapporti tra il nuovo Senato e le conferenze spetterà invece al Regolamento del Senato […]