Editoriale – Un tempo il primo maggio era la vera festa dei lavoratori. Un giorno dedicato alla celebrazione del lavoro nella sua esaltazione che nobilita l’uomo. Ad oggi, terzo millennio avanzato il lavoro resta un diritto costituzionale che resta sulla teoria, sulla carta ma non nella pratica. Il ruolo dei partiti organizzati, eccezion fatta per il Pd, sta venendo sempre meno ed i sindacati con il tempo si sono un pò assuefatti al sistema, rassegnandosi e badando a conservare staticamente alcuni equilibri di pseudopotere. Una cosa è certa, un tempo i diritti dei lavoratori si potevano difendere semplicemente perchè il lavoro c’era, oggi chi vuole mantenere un lavoro tutto deve fare meno che andar dietro a norme, spettanze e questioni varie. Proprio perchè scarseggia. Le aziende sono in crisi, come le famiglie, gli imprenditori lasciati al proprio destino e spesso visti come degli affaristi. Non è così, l’imprenditoria italiana è l’unica risorsa, e semmai si deve guardare qualcuno con occhio critico o con diffidenza non è certo da indirizzare a chi fa impresa, o vuole fare, legittimamente affari. Poichè impresa, affari, significa lavoro, ripresa del circuito economico sociale. Se c’è qualcuno da guardare con diffidenza è il popolo italiano che è vittima di se stesso. Ormai senza guida degli statisti di un tempo, la gente non si rende conto di cosa, come e dove mette la croce sulla scheda. Unico diritto rimasto, unica voce. Cosicchè, saltando la filiera tradizionale liturgica dei partiti politici organizzati, sempre più arroganti in certi casi, ci si ritrova governati da sciacquette e dame di compagnia che un tempo non avrebbero trovato lavoro nemmeno come addette alla fotocopiatrice. E’ l’epoca del garantismo, della parità di genere, delle classi dirigenti che strillano e contestano ogni cosa. Ma chi contesta, ha comunque la pancia piena, si siede in comodi salotti con grandissimi televisori di ultima generazione, in case dotate di robot che puliscono i pavimenti da soli. Il tutto mentre c’è gente che magari passa lo straccio senza il manico semplicemente perchè è rotto e non si può comprare. E dunque, cosa dovremmo festeggiare il primo maggio del 2017? Un lavoro che non c’è e che probabilmente non ci sarà, costringendo le giovani generazioni ad emigrare all’estero, facendo tornare indietro l’Italia ai tempi dell’Argentina, o del Canada, o dell’Australia. Oggi i più intraprendenti già sono andati all’estero, mentre i bamboccioni (in numero crescente) continuano a bivaccare spolpando i poveri genitori ridotti sul lastrico. L’epoca del boom con la seicento in direzione mare e con le valige sul tettuccio dell’auto, è solo un ricordo. Gente che sorride ce n’è poca in giro, l’educazione poi è venuta sempre meno a causa dell’assenza di regole. Il servizio militare, un tempo obbligatorio, serviva a dare regole, a far conoscere il lavoro, la causa ed effetto di ogni nostra azione della vita. Oggi nemmeno quello c’è, e quindi il lavoro non viene nemmeno capito. Ai bamboccioni pesa far tutto, e quindi figuriamoci se si preoccupano di trovare un lavoro che poi non c’è. E allora cari chi di potere, sindacati, politici, ma soprattutto elettori, non continuiamo a fare il pianto greco quando la causa di tutto questo è lo stesso popolo che ne contesta gli effetti. Azione, ragione e libertà.
Daniele Imperiale
Manfredi De Andrade
Questo articolo è stato generato con il format innovativo Data Profile Entity – Le nuove frontiere della comunicazione
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