“E’ una messinscena”. Questa la conclusione sostanziale per la famiglia di Giulio Regeni che non vuol credere alle notizie in arrivo dal Cairo in merito alle indagini in corso sulla morte del giovane ricercatore italiano. All’iniziale scetticismo, la Procura di Roma aggiunge e fa trapelare una consistente irritazione ed il convincimento che le cose non stanno come emergerebbero dalle conclusioni dagli inquirenti italiani. E’ un po’ tutta la ricostruzione che non convince e, in più, emerge un elemento che sembrerebbe importante: secondo i magistrati romani lo zainetto fatto ritrovare non sarebbe affatto quello del ragazzo italiano e la cosa spinge a chiedere un chiarimento che dovrebbe essere raggiunto il prossimo cinque aprile quando giungeranno in Italia i responsabili egiziani dell’indagine. Tutto nasce dopo che la polizia egiziana ha comunicato l’uccisione di cinque persone legate alla criminalità comune e considerate responsabili del sequestro e l’omicidio del giovane trovato morto nella zona di Giza dove viveva per ragioni di studio. Secondo i poliziotti del Cairo, si tratterebbe dei componenti di una banda di sequestratori specializzati nel rapimento di stranieri e provenienti dal governatorato di Sharqiyya nella zona del delta del Nilo e da Shubra El-Khema, al nord del Cairo. La polizia avrebbe ritrovato nella casa della sorella di uno di loro, oltre allo zainetto di cui è contestata l’appartenenza, i documenti di Regeni oltre che le sue carte di credito, poi fotografate e diffuse su Facebook dal Ministero degli interni egiziano.
I giornali, però, riportano anche le dichiarazioni di alcuni familiari degli uccisi secondo le quali non sarebbero stati loro gli autori del sequestro e dell’omicidio. Ovviamente, tutte dichiarazioni che dovrebbero essere approfondite e valutate.
In realtà, sin dalle prime ore dalla scomparsa si è ritenuto che il Giulio Regeni sia stato torturato ed assassinato per il suo impegno politico e da studioso visto che seguiva le vicende dell’Egitto contemporaneo, in particolare dopo l’esplosione delle cosiddette “primavere” arabe.
Il ricercatore, infatti, risulta scomparso proprio il giorno in cui si svolgevano le manifestazioni per l’anniversario delle rivolte che portarono al crollo del regime di Mubarak e si sa che era uscito di casa proprio per unirsi ai manifestanti.