Secondo la leggenda, il nome dei Marsi, proviene da Marsia, satiro greco abilissimo nel suonare il flauto. Quando la gente lo sentiva suonare, diceva che fosse addirittura più bravo del dio Apollo. Quest’ ultimo, saputo ciò, sfidò il satiro a una gara in cui le Muse e gli altri dei avrebbero decretato il vincitore. Inizialmente la sfida finì con un pareggio ma Apollo decise di continuare la gara con gli strumenti rovesciati. Lui riuscì a suonare la cetra anche dopo averla rovesciata ma Marsia non potè rovesciare, logicamente, il suo flauto. Apollo così ne uscì vincitore e Marsia venne scorticato vivo e gettato sulla Terra. Secondo il mito, cadde a Tagliacozzo e insegnò alle persone del posto, che da allora furono chiamati Marsi, a suonare il flauto. Esistono anche altre due versioni del mito: la prima è che Marsia e Apollo si sfidarono perché erano innamorati della stessa ninfa; la seconda è che Apollo propose di suonare e cantare contemporaneamente, cosa che Marsia non poteva fare.
Probabilmente il più famoso suonatore di uno strumento a fiato, sicuramente noto da moltissimi secoli. Il personaggio proviene dalla mitologia greca e ha ispirato moltissimi artisti e poeti con la sua vicenda sventurata. L’unica cosa che nè l’arte nè la leggenda hanno potuto tramandarci è la sua bravura di suonatore. Ma chi era? e chi ne parla?
Secondo i miti greci e romani Marsia era un satiro, specie di genio delle acque, dei monti e delle selve. Atena si era costruita un flauto e lo aveva gettato via perchè derisa da Era ed Afrodite per l’aspetto deformato del suo viso mentre lo suonava. Marsia lo raccolse e divenne un bravissimo suonatore, famoso tra i seguaci della dea Cibele e tra la gente dei campi, tanto che correva voce che nemmeno Apollo sapesse fare della musica altrettanto bella.
Apollo non accettava che il suo primato come dio della musica fosse in dubbio e sfidò Marsia ad un confronto: Marsia avrebbe suonato il flauto, Apollo la lira, mentre le Muse avrebbero scelto il vincitore. Le Muse decretarono un pareggio tra i due sfidanti. Apollo non soddisfatto pretese che gli sfidanti dovessero cantare e suonare allo stesso tempo cosa ovviamente impossibile con il flauto. Il dio vinse così la sfida e punì Marsia per la sua superbia facendolo scorticare da uno schiavo della Scizia.
Secondo un’altra versione della leggenda il dio Apollo pur di garantirsi la vittoria capovolse la sua lira e pretese che altrettanto facesse Marsia col suo flauto! Apollo non poteva permettersi di perdere e punì severamente Marsia per la sua superbia.
La sfida tra Apollo e Marsia è un soggetto ricorrente nelle incisioni del Rinascimento, dove viene spesso rappresentato come suonatore di cornamusa. Nelle raffigurazioni antiche egli suona invece il flauto ad una o due canne.
Gli abitanti della Frigia ritenevano che Marsia fosse diventato il fiume che attraversa la città di Celene. Secondo la leggenda Marsia avrebbe anche protetto la Frigia dalla invasione dei Galli con le acque del fiume e con la musica del suo flauto.
Molti scrittori e poeti della antichità riportano miti e leggende riguardanti Marsia.
Il più noto è forse Ovidio che ne parla nel Libro VI delle Metamorfosi. Nelle prime edizioni a stampa dei poemi di Ovidio ci sono spesso raffigurazioni di Marsia, opera di grandi incisori.
I versi di Ovidio hanno colpito l’immaginazione degli artisti più che non le leggende. Anche Dante nomina Marsia nel Canto I del Paradiso.
Sic ubi nescio quis Lycia de gente virorum rettulit exitium, satyri reminiscitur alter, quem Tritoniaca Latous harundine victum adfecit poena. 'quid me mihi detrahis?' inquit; 'a! piget, a! non est' clamabat 'tibia tanti.' clamanti cutis est summos direpta per artus, nec quicquam nisi vulnus erat; cruor undique manat, detectique patent nervi, trepidaeque sine ulla pelle micant venae; salientia viscera possis et perlucentes numerare in pectore fibras. illum ruricolae, silvarum numina, fauni et satyri fratres et tunc quoque carus Olympus et nymphae flerunt, et quisquis montibus illis lanigerosque greges armentaque bucera pavit. fertilis inmaduit madefactaque terra caducas concepit lacrimas ac venis perbibit imis; quas ubi fecit aquam, vacuas emisit in auras. inde petens rapidus ripis declivibus aequor Marsya nomen habet, Phrygiae liquidissimus amnis.
(Ovidio, Metamorfosi – Libro VI)