Editoriale – In fondo la nostra vita è una partita a scacchi. Sin da quando veniamo al mondo ci troviamo a dover fronteggiare una serie di situazioni, talvolta paradossali. Nei primi mesi di vita, tutto in effetti avviene a nostra insaputa, non c’è cognizione, coscienza, e anche i ricordi fin quanto indietro possano tornare, non approdano certo a quei periodi spensierati, di pianti, cure e riposini nelle rigide carrozzine dell’epoca. Ma la nostra partita scacchi è iniziata nel momento in cui, non sappiamo bene come, qualcuno ha deciso di farci venire in questo mondo, in questo preciso luogo e situazione dell’emisfero. Una vitalità che ci ha generato, uno dei misteri più profondi ed intesi della vita. E di qui inizia un gioco che non avrà mai fine. Come nelle partite a scacchi della migliore tradizione, si spostano pedine, si fanno strategie per arrivare al massimo allo scacco al re. Il raggiungimento di uno o più obiettivi. Ma in questo tavolo dobbiamo districarci da mille insidie, saper fronteggiare. Le partite più appassionate talvolta si fermano, gli scacchi si lasciano lì, i conti sono sospesi ma non pareggiati. C’è sempre il tempo per la riscossa e per proseguire poi lo scacco della nostra vita. Siamo un pò scacchiera, bianchi e neri, come sono fatti gli uomini. Il terzo millennio ci ha portati a sentirci un pò tutti cittadini del mondo, le differenze vengono sempre meno, ed i valori sociali favoriscono una integrazione che però fa a scacchi con il razzismo. Ma chi è il nostro avversario? Uno nessuno e centomila, come recita il pirandelliano romanzo dei primi del novecento. A volte siamo avversari di noi stessi, a volte complici, e l’avversario è sempre in agguato. E’ un familiare, un parente, un amico, uno sconosciuto, un condomino, una donna, un uomo, un bianco o un nero. L’avversario è una malattia da combattere, un disagio da risolvere, un problema economico. L’uomo in fondo è avversario di se stesso poichè fin troppo spesso le scelte sulle mosse da fare sono sbagliate, condizionate o suggerite da altri. La partita a scacchi deve essere giocata, vissuta, partecipata. Fino a quando sarà scacco al Re, che inesorabilmente arriva per tutti, anche per la Regina.
Daniele Imperiale
La partita di scacchi è giocata tra due avversari che muovono alternativamente i loro pezzi su una tavola quadrata detta ‘scacchiera’. Il giocatore con i pezzi bianchi comincia la partita a scacchi. Si dice che un giocatore ‘ha il tratto’ quando la mossa del suo avversario è stata ‘fatta’ . L’obiettivo di ciascun giocatore è di porre il Re avversario ‘sotto scacco’ in modo tale che l’avversario non abbia mosse legali. Si dice che giocatore che
raggiunge tale obiettivo ha dato ‘scaccomatto’ all’avversario e ha vinto la partita di scacchi. Non è permesso lasciare il proprio Re sotto scacco, né porre il proprio Re sotto scacco e neppure catturare il Re avversario. L’avversario che ha ricevuto scaccomatto ha perso la partita di scacchi. Se la posizione è tale che nessuno dei due giocatori ha possibilità di dare scaccomatto, la partita è patta.
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