Roma – Arriva il via libera della Cassazione alle firme raccolte, per opposte ragioni, sia dall’opposizione che dalla maggioranza, per promuovere il referendum sulle riforme costituzionali.
La notifica, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, è arrivata a palazzo Madama indirizzata ai ‘promotori’ della raccolta ovvero al presidente dei senatori Pd, Luigi Zanda, al capogruppo Ap Renato Schifani e al presidente delle autonomie Karl Zeller, su fronte del “sì” alla riforma e al senatore M5S Vito Crimi e al capogruppo della Lega Gianmarco Centinaio, schierati sul fronte del no.
L’ufficio centrale per il referendum di Palazzaccio, presieduto dal giudice Maria Cristina Siotto, ha infatti emesso venerdì scorso, 6 maggio, l’ordinanza con la quale dichiara conformi all’articolo 138 della Costituzione le richieste di referendum, dichiara la legittimità del quesito e ammette le richieste, disponendo che l’ordinanza sia immediatamente comunicata al Presidente della Repubblica, ai presidenti delle Camere, al presidente del Consiglio e al presidente della Corte costituzionale.
“Il referendum ci dirà se la gente vuole cambiare davvero o si accontenta del solito sistema istituzionale bloccato di questi anni. Io sono in campo, ma la differenza potete farla solo voi”. Così, nell’e-news, il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, chiama alla mobilitazione per il referendum sulle riforme, indicando tre obiettivi: “ridurremo il numero dei politici, taglieremo i poteri delle regioni e gli stipendi dei consiglieri regionali, eviteremo il ping-pong parlamentare e la doppia fiducia di Camera e Senato”. Poi aggiunge “rottameremo enti inutili come il Cnel e l’abuso della decretazione d’urgenza grazie alla previsione del voto a data certa in Parlamento. Basta un sì e l’Italia sarà più semplice”e “adesso la palla – ha aggiunto Renzi – è nelle mani dei cittadini”. Poi consiglia alcune letture: “a chi ha qualche minuto libero suggerisco di leggere alcuni articoli più pesanti di costituzionalisti o professori che entrano nel merito della riforma: il prof. Cassese sul Corriere della Sera; il prof. Fusaro sull’Unità e gli errori di chi dice sempre no; il prof. Bin sulla lettera dei professori del No; il prof. Ceccanti”.
In un post su facebook il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, scrive che “c’è bisogno di una discussione seria, di un partito democratico capace di ascoltare chi solleva obiezioni e critiche, di farsi carico di esse e dare risposte”, aggiunge Rossi ribadendo: “Così io mi impegnerò per il sì”. Però, annota Rossi, “i padri costituenti, seppero dialogare e rispettarsi anche quando avevano posizioni diverse. Non c’è ragione per non farlo anche noi”. “Io che voterò si’, perché credo che sia giusto superare il bicameralismo perfetto, perche’ penso che per i territori sia meglio un Senato così come è venuto fuori, piuttosto che nulla, credo che ci sia un tema. C’è uno squilibrio fortissimo fra le Regioni a statuto speciale, che mantengono tutte le loro prerogative, anzi si apre la possibilità per loro di avere altre competenze autonome, e la maggior parte delle Regioni che vedono ridisegnati in maniera molto forte i loro poteri”, ha aggiunto il presidente della Regione Toscana. “Credo poco anche a certi messaggi- ha proseguito-, tipo il risparmio sulla Casta, sì sono cose importanti, ma i cittadini sanno che non si fa una riforma costituzionale solo per risparmiare su qualche deputato e su qualche stipendio. È importante, è importantissimo- ha chiarito-, però molti sono anche preoccupati di quelli che sono gli equilibri che si vanno a formare dopo questi cambiamenti. Con loro bisogna ascoltare e parlarci. Starò dentro la campagna per il sì, ma anche sapendo che abbiamo bisogno di allargarci e non di non rinchiuderci”.
Sulle colonne del Corriere della Sera confronto di merito fra due maitre a penser della cultura giuridica italiana: Sabino Cassese e Valerio Onida..
Nel suo intervento sul quotidiano di via solferino Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta, spiega le ragioni del suo sostegno alla riforma costituzionale e al referendum del prossimo autunno. “Per quanto i toni si stiano alzando, l’assetto costituzionale che esce dalla riforma si iscrive nella nostra tradizione repubblicana e le fa fare un passo avanti, consolidandola”.
Nel suo articolo Casssese evidenzia che nonostante vi fosse un“compito originario del Senato”, “svolto molto poco”, Palazzo madama ha finito per “essere un doppione o un fattore di ritardo”, facendo esaurire quella funzione originaria. Giusto poi “ridefinire compiti e ruolo delle Regioni” perché l’ampliamento delle funzioni deciso con la riforma del titolo V del 2001 ha costretto “la Corte costituzionale a una minuziosa attività di ridefinizione di ciò che è locale e di ciò che è nazionale”: la riforma costituzionale – su cui gli italiani si dovranno esprimere – riconosce dunque quella “opera quindicennale” della Consulta. Cassese ricorda che “la Costituzione tedesca, che ha la stessa età della nostra, è stata modificata un numero di volte quasi quadruplo rispetto a quella italiana, e su punti più rilevanti”. Inoltre, “la circostanza che il governo avrà la fiducia della sola Camera dei deputati non modifica il sistema parlamentare, evita soltanto la stanca e inutile ripetizione della procedura di votazione della investitura parlamentare al governo in due assemblee con analoghe maggioranze (o la paralisi del sistema quando le maggioranze divergono)”.
“L’articolo di Sabino Cassese pubblicato sul Corriere del 6 maggio («Perché la riforma costituzionale non tradisce la Repubblica») è un buon esempio del modo in cui bisognerebbe discutere il merito delle riforme sottoposte a referendum, contrastando la tendenza a farne un plebiscito sul Governo” Scrive Valerio Onida in un articolo pubblicato sempre sul Corriere della Sera (il 10 maggio).
Onida non nasconde però le propire perplessita: “idue argomenti affrontati — bicameralismo e Regioni — meritano distinto esame (e per questo dovrebbero essere oggetto anche di distinte pronunce popolari, al pari di altri aspetti della riforma, per evitare di costringere gli elettori a pronunciarsi con un unico sì o un unico no su argomenti non omogenei). Quanto al primo — la seconda Camera — nella tradizione costituzionale essa non ha tanto la funzione di garanzia contro eventuali eccessi della prima Camera (anche perché nella nostra storia è stata sempre, fino agli anni recentissimi, espressione dei medesimi rapporti fra maggioranza e opposizioni), ma piuttosto la funzione di rappresentare istanze differenziate della società. La scelta, quindi, di configurare esplicitamente il Senato come camera rappresentativa delle istituzioni territoriali — le Regioni — appare di per sé ineccepibile. Il problema è il modo in cui la riforma lo fa, non mettendo i nuovi senatori nelle condizioni di esprimere unitariamente la volontà delle rispettive Regioni, e negando al Senato funzioni di efficace dialogo e raccordo con la Camera e con il Governo sui temi delle autonomie. Sul secondo tema — il regionalismo — la legge costituzionale di oggi fa invece una scelta a mio avviso radicalmente sbagliata”, “configurando un nuovo quadro nel quale l’autonomia legislativa delle Regioni viene praticamente ridotta a zero, senza nemmeno il beneficio di una maggiore chiarezza nel riparto di competenze e quindi senza scongiurare il rischio del contenzioso Stato-Regioni”. “Da questa riforma che uscirebbe un sistema di Regioni (diseguali fra loro per dimensione, per cultura istituzionale prevalente, per capacità operative) ridotte al rango di super-Province (abolite le storiche Province amministrative), prive della possibilità di esprimere le potenzialità dell’autonomia sul terreno legislativo”.