Roma – Se la ripresa dell’Eurozona ha portato a una crescita generalizzata degli occupati in tutta l’area, in particolare in Germania e in Spagna, in Italia “l’occupazione complessiva è rimasta pressochè invariata, in controtendenza rispetto all’insieme dell’area dell’euro e alle sue economie più piccole”. Lo si legge nel bollettino economico della Bce. Il confronto appare sfavorevole rispetto a tutte le economie dell’Eurozona colpite dalla crisi del debito: non solo Spagna ma anche Portogallo, Irlanda e persino Grecia, dove si è verificato invece un aumento dell’occupazione “marcato”.
“Due grandi economie dell’area dell’euro, Germania e Spagna, hanno contribuito per quasi due terzi all’incremento complessivo del numero di occupati nell’area dal secondo trimestre del 2013, con apporti pari rispettivamente a 592.000 e 724.000 unità”, sottolinea la Bce, “questo risultato non dipende esclusivamente dalle dimensioni dei due paesi; si consideri che nello stesso periodo i livelli occupazionali di Francia e Italia sono aumentati, nell’ordine, di appena 190.000 e 127.000 unità, pari all’incirca al 15% del rialzo per l’insieme dell’area dell’euro”.
“Gli altri paesi hanno fornito un contributo totale di 252.000 unità, in seguito al netto recupero congiunturale dell’occupazione in molte delle economie più colpite dalla crisi”, si legge ancora nel bollettino, il quale spiega che “il recupero dell’occupazione nell’area dell’euro è stato trainato, oltre che dalla Spagna, dal marcato aumento del numero di occupati in Irlanda, Grecia e Portogallo”. “Nell’insieme, queste tre economie hanno esercitato un impatto del 15 per cento circa sulla crescita del numero di occupati nell’area dell’euro dal secondo trimestre del 2013”, prosegue la Bce, “il contributo è comparabile a quello complessivamente fornito nello stesso periodo da Francia e Italia, due economie di dimensioni ben più significative, benchè i profili di crescita occupazionale osservati nel corso della crisi siano molto diversi”, prosegue la Bce, “Se in Germania il numero di occupati è salito quasi ininterrottamente dall’inizio della recessione nel 2008, la Spagna ha registrato continue diminuzioni dei posti di lavoro fino al recente punto di svolta. Di conseguenza, la Germania mostra adesso un’occupazione superiore del 5 per cento ai livelli pre-crisi, mentre il dato per la Spagna resta inferiore del 15 per cento al picco toccato prima della crisi, nonostante la forte ripresa osservata di recente”, prosegue la Bce, “in Francia il numero di occupati si è portato lievemente al di sopra dei valori pre-crisi, sostenuto in ampia misura dal considerevole aumento dei dipendenti pubblici. Quanto all’Italia, la crisi ha esercitato un impatto avverso ben più persistente sull’occupazione complessiva, che è rimasta pressochè invariata, in controtendenza rispetto all’insieme dell’area dell’euro e alle sue economie più piccole”.
L’aumento degli occupati in Italia, “più modesto” che in altri Paesi europei, “è dipeso per il 63 per cento da posizioni a tempo parziale”. Lo si legge nel bollettino economico della Bce, la quale sottolinea che in Italia, così come in Grecia, “la quota di contratti a tempo determinato sui nuovi posti di lavoro è superiore alla media dell’area”.
La Spagna è il Paese dell’Eurozona che dal secondo trimestre 2013 ha segnato il maggior aumento degli occupati dell’Eurozona, con 724 mila addetti in più. In Italia, invece, la cifra è inferiore di quasi sei volte: 127 mila occupati in più nello stesso periodo.
L’attività economica mondiale “prosegue su un percorso di ripresa graduale e disomogenea”. Lo afferma la Bce nel bollettino economico. Le prospettive per le economie avanzate “sono sostenute dai bassi prezzi del petrolio, da condizioni di finanziamento ancora favorevoli, da miglioramenti nei mercati del lavoro e dal clima di fiducia più positivo, nonchè dal venir meno degli effetti avversi derivanti dalla riduzione dell’indebitamento del settore privato e dal risanamento dei conti pubblici”. Per contro, prosegue la Bce, “le prospettive di crescita dei paesi emergenti continuano a essere frenate da ostacoli strutturali e squilibri macroeconomici, acuiti in alcuni casi dall’inasprirsi delle condizioni finanziarie internazionali e dalla diminuzione dei corsi delle materie prime. Le spinte inflazionistiche a livello internazionale dovrebbero rimanere contenute in seguito al calo delle quotazioni petrolifere e per il margine ancora ampio di capacità produttiva inutilizzata su scala mondiale”. In prospettiva, nell’area euro, “la ripresa economica dovrebbe proseguire, sebbene i rischi restino orientati verso il basso”.
Le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate in dicembre dagli esperti dell’Eurosistema prevedono una crescita annua del Pil in termini reali pari all’1,5% nel 2015, all’1,7% nel 2016 e all’1,9% nel 2017.
I tassi dell’inflazione sui dodici mesi misurata sullo Iapc mostrerebbero “un aumento significativo nel prossimo futuro”. Lo si legge nel bollettino economico della Bce. “è previsto un incremento dei tassi al volgere dell’anno, soprattutto per gli effetti base connessi al calo delle quotazioni petrolifere alla fine del 2014”, sottolinea Francoforte, “nel corso del 2016 e del 2017 si prevede un ulteriore incremento dell’inflazione, al quale contribuirebbero le misure di politica monetaria adottate dalla Bce in passato, corroborate da quelle annunciate nel dicembre 2015, l’attesa ripresa economica e la trasmissione di precedenti diminuzioni del tasso di cambio dell’euro”. “Il Consiglio direttivo seguirà con attenzione l’evoluzione dei tassi di inflazione nel prossimo periodo”, aggiunge Francoforte. (AGI)