di Antonio Agosta (Redazione Sicilia)
“Mi sembrò l’unico modo per liberarmi dalla depressione cosmica che mi avvolgeva. Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon”.
Alle ore 23,07 di lunedì 8 dicembre 1980, Mark David Chapman, un giovane squilibrato armato di arma da fuoco, senza un valido motivo apparente, spara sei colpi di pistola colpendo John Lennon nella schiena, l’artista cadrà a terra esanime sotto gli occhi della moglie Yoko Ono. La morte tragica di un uomo che cantava i diritti umani e la pace fra i popoli.
“I Beatles sono più popolari di Gesù”. Frase scatenante, considerata una bestemmia dall’attentatore Chapman, tanto da indurlo a partire da New York e mettere fine all’esistenza di Lennon. Dirà che ha sentito una voce che gli ha ordinato di commettere l’omicidio, oppure, come scriveranno in seguito i giornali, un assassinio voluto dalla Cia.
John, dopo il grande successo ottenuto con i Beatles, decide di lasciare il gruppo per intraprendere una carriera da solista accanto alla moglie Yoko Ono, sposando appieno la filosofia del pacifismo come rifiuto alla guerra del Vietnam e l’apartheid in Sud Africa. Questa sua scelta gli costerà l’ostilità dell’amministrazione Nixon che lo fece spiare dall’FBI e dai servizi segreti inglesi.
“Quando John fu colpito a morte, a parte il puro orrore, capii subito ciò che sarebbe rimasto: Ok, ora John è un martire. Un Jfk (John Fitzgeral Kennedy, il presidente assassinato nel 1963, ndr). E ho iniziato a sentirmi frustrato perché la gente avrebbe iniziato a dire, ‘Beh i Beatles erano lui’ e io e George (Harrison) e Ringo (Starr) saremmo scomparsi”. Dichiarazioni di Paul McCartney qualche mese dopo la morte di Lennon.
Il suo mito continua ancora oggi anche dopo 35 anni dalla sua morte.