Il racconto di Giuseppe Salvatore, figlio del boss
di Antonio Agosta (Redazione Sicilia)
Il figlio di Toto Riina, Giuseppe, scrive un libro dove racconta del padre descrivendolo come fosse un eroe da imitare e non da condannare, anche se preferisce non parlare delle vittime di mafia causate dallo stesso padre che era un eroe. Il suo racconto mette i brividi, soprattutto per chi, come noi, ha vissuto quei tragici momenti ancora impressi nelle nostre menti.
Giuseppe, nel 1992 non era ancora maggiorenne, aveva appena 15 anni, però descrive il padre come un uomo amorevole nei confronti della famiglia, che gioca con la figlia più piccola e guarda il Moro di Venzia, all’America’s Cup, insieme al figlio maschio seduti sul divano davanti alla tv a mangiare biscotti preparati per l’occasione. Intanto, il boss, Salvatore Riina, di nascosto pianificava l’omicidio di Salvo Lima perché non era riuscito ad aggiustare il maxiprocesso di mafia, e preparando nei dettagli altre stragi in cui moriranno personaggi illustri, come quella della sera del 23 maggio, il giorno dell’attentato messa in atto da Cosa Nostra sull’autostrada A29. In quella strage moriranno il giudice Giovanni falcone, la moglie Francesca Morvillo e la sua scorta. Giuseppe, e il padre Totò, in silenzio guardavano in tv l’edizione straordinaria del telegiornale, osservando con indifferenza le immagini del massacro di Capaci, filmati in cui si vedeva un cratere fumante e un insieme di rottami dai quali si poteva solo intuire quello che era accaduto. “Sul volto qualche ruga, appena accigliato, ascoltava pensando ad altro. Era stato lui a decidere quella strage, per eliminare il magistrato che aveva portato alla sbarra Cosa nostra fino a infliggere l’ergastolo a Riina e compari”. Stessa sorte era in progetto per il magistrato Paolo Borselino nel pomeriggio del 19 luglio. Quel giorno, Totò Riina decise di rimanere in casa a leggere i suoi giornali e ad aspettare quella notizia che non tardò ad arrivare, tutto questo mentre la sua famiglia si divertiva al mare lontano dalla visione di sangue voluta proprio da lui.
“Papà, dobbiamo ripartire?”. “Perché vuoi partire?” domandò lui, finalmente rompendo la tensione con la quale fissava il televisore. “Non lo so. Dobbiamo tornare a Palermo?”. “Voi pensate a godervi le vacanze”. Lucia, la figlia dodicenne, con la paura nel cuore chiedeva al padre cosa stesse accadendo, e se le meritate vacanze per loro erano già finite. Salvatore Riina, da buon padre, assicurò la figlia dicendole che tutto procedeva in modo eccellente e che non c’era nulla per cui doveva allarmarsi. Improvvisamente Lucia scoppiò a ridere e abbracciò il padre, ringraziandolo per la bella vacanza che le aveva regalato. “Perché mio padre era un eroe”.