Roma – La fatturazione elettronica, a pochi giorni dalla sua applicazione è già diventata un incubo. Uno studio approfondito sulla tematica che chiarisce dubbi in lungo ed in largo sia sotto il profilo giuridico, che sotto il profilo tecnico arrivano da una relazione depositata dal dottor Lamberto Mattei, dottore commercialista e responsabile del Popolo delle Partite Iva a livello nazionale e coadiuvato dai responsabili del Popolo Partite Iva di Roma Capitale dr. Walte Cillaroto e dalla dott.ssa Doriana Sannipola. I tre, in linea con la mission della organizzazione associativa costituita per difendere ad ampio raggio le partite Iva italiane, hanno provveduto con questa relazione a fornire elementi utili e cognitivi purtroppo sconosciuti alla maggior parte degli italiani. “Riteniamo doveroso – spiega il commercialista Lamberto Mattei – intervenire su una tematica di grande interesse sociale che sta condizionando la vita di molte aziende/imprese e che rischia di mettere a repentaglio strategie aziendali rilevanti. Il sistema, infatti, non tiene conto di diverse esigenze poichè la normativa non è stata preceduta da valutazioni economico-finanziare adeguate, ma solo da mera teoria. Intendiamo pertanto – conclude Mattei – essere vicini alle aziende, con la nostra task force di approfondimento con lo scopo di fornire elementi cognitivi di pubblico interesse”. Di seguito il testo della relazione:
La fatturazione elettronica viola il D.Lgs. 11/05/2018, n.63, con il quale è stata data attuazione alla Direttiva UE 2016/943 sulla protezione del Know-how e della tutela dei segreti commerciali. L’art. 98 del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n.30 sulla proprietà industriale è stato modificato dall’art. 3 del D.Lgs. 63/2018 che ha ridefinito la natura dei segreti commerciali ed ha individuato tutte quelle informazioni aziendali (industriali e commerciali) oggetto di tutela. La violazione è contenuta nell’art. 6 che ha modificato l’art. 124 del citato D.Lgs. 30/2005 introducendo l’art. 6-bis che va a definire le tipologie di rilevazioni illecite dei segreti commerciali. Alla lettera a) del suddetto articolo si fa riferimento al VALORE ed alle CARATTERISTICHE SPECIFICHE dei segreti commerciali, dove per valore si può far riferimento al listino prezzi praticato da un’azienda, laddove il listino venga comunicato a terze parti che lo possono utilizzare per ottenere vantaggi in termini di concorrenza (abbassare i prezzi), ma anche comunicare il dettaglio dei clienti (proporre gli stessi articoli agli stessi clienti forniti da terze parti illecitamente attraverso appunto le varie case software che gestiscono oggi la fatturazione elettronica) ma anche per il flusso dei dati che transita attraverso i canali web. Fornire illecitamente la tipologia dei prodotti venduti, la componentistica di un bene composto come un macchinario, tempi di montaggio dello stesso (esperienze tecnico-industriali), ecc, tutte informazioni che liberamente sono accessibili a terze parti grazie alla fatturazione elettronica. Infatti nei contratti stipulati dalle aziende, in molti casi meri moduli d’ordine con rimandi alle condizioni contrattuali presenti sui siti internet delle stesse case software, non sono state rinvenute clausole a salvaguardia in tal senso se non meri richiami al Regolamento UE 2016/679 sulla Privacy riguardante i dati sensibili delle persone fisiche che nulla hanno a che vedere con gli effettivi dati da tutelare.
All’art. 7 del citato D.Lgs. 63/2018 si legge altresì che il giudice, in caso di procedimenti per rilevazioni illecite, deve tenere conto di una serie di circostanze e l’impresa danneggiata deve dimostrare di avere posto in atto tutte le misure idonee a garantire la sicurezza dei dati e/o segreti commerciali, facendo sicuramente sottoscrivere contratti, misure tuttavia che sono messe a rischio dalla fatturazione elettronica in quanto il flusso elettronico dei dati dalle imprese allo Stato attraverso le case software, le banche, sistemi come Aruba, che oggi offrono lo stesso servizio, non sarà garanzia di tutela dei dati delle imprese italiane (informazioni commerciali/industriali che rigorosamente vanno tutelate). Solo il giudice ordinario può stabilire se ci sia stata violazione e quindi diffusione illecita di informazioni commerciali/industriali, ma sappiamo quanto è difficile provare che certi reati siano stati commessi, soprattutto attraverso la rete internet laddove non si utilizzino sistemi crittografati che comunque non sono totalmente sicuri.
In molte condizioni contrattuali delle maggiori case software rinvenibili sui siti delle stesse si legge anche che la gestione del servizio può essere anche appaltata a terze parti (esempio di clausola rinvenuta su un contratto di una delle maggiori case software italiane “il cliente autorizza il fornitore e produttore a subappaltare e/o sub affittare a terzi, in tutto o in parte, l’esecuzione delle attività previste dal presente contratto, fermo restando che le attività svolte dal cliente sono da intendersi come realizzate dal produttore, rimanendo il fornitore/produttore l’unico interlocutore con il cliente per le attività subappaltate o subaffittate”).
Peraltro anche l’Agenzia delle Entrate non gestisce direttamente il servizio di fatturazione elettronica essendo lo stesso appaltato a terze parti ma che comunque garantisce sistemi URL e che utilizza sistemi crittografici.
L’unica possibilità che hanno oggi le aziende italiane è sicuramente quella di fornire il minor numero di informazioni possibili ai loro provider che gestiscono la fatturazione elettronica (invio/ricevimento fatture trasmesse attraverso il SDI). Peraltro molti provider sensibilizzati sul problema stanno fornendo soluzioni in tal senso. Tuttavia più il dato sarà sintetico più il fisco italiano riceverà informazioni di nessuna utilità per promuovere la lotta all’evasione fiscale, molti dati potrebbero risultare incomprensibili e saranno anche disaggregati.
Inoltre l’innalzamento della soglia di accesso ai regimi fiscali di favore, per il quali non vi è obbligo della fatturazione elettronica, ha portato sicuramente molti contribuenti a dichiarare un volume di affari 2018 sotto i 65 mila euro e che faranno di tutto per rimanere sotto tale soglia nel 2019 e negli anni a venire.
Quindi, in Italia, l’introduzione della fatturazione elettronica dal 2019 arricchisce esclusivamente le case software, ed altri operatori che hanno investito sul nuovo business come le banche ed i provider Internet, non apportando vantaggi per lo Stato ma piuttosto andando ad incentivare ulteriormente l’evasione fiscale, ma soprattutto mette a rischio il nostro sistema produttivo in evidente violazione del D.Lgs. 11/05/2018, n.63, con il quale è stata data attuazione alla Direttiva UE 2016/943, e che porterà l’intero sistema produttivo sotto il controllo di terze parti.
Mai il sistema europeo metterà a rischio il proprio Know-how ed i segreti commerciali e se lo farà metterà a rischio l’intero sistema Europa che finirà sotto il controllo delle grandi multinazionali che oggi detengono il potere in quanto tenutarie delle informazioni che transitano nel web e che ne gestiscono anche le impostazioni di sicurezza.
Per questo l’Europa in prima battuta ha respinto l’autorizzazione all’introduzione della fattura elettronica in Italia per poi, a seguito di una ulteriore richiesta, autorizzarla per un periodo iniziale di quattro anni.
Inoltre l’introduzione della fattura elettronica in Italia potrebbe anche determinare una riduzione delle commesse da parte dei clienti esteri proprio per scongiurare la diffusione di informazioni protette dalla Direttiva UE 2016/943 e non tanto dalla Direttiva UE 2016/679 sulla Privacy mettendo a rischio ancora di più il nostro PIL.
L’Italia è un Paese dove il tessuto economico è rappresentato per il 90% circa dalla micro impresa.
Le imprese con volumi che non superano i 2 milioni di Euro hanno due possibilità per sfuggire alla morsa del controllo che scaturirà dalla FE:
1) Se sotto i 65 mila Euro di affari, sfruttare l’esonero dall’adempimento previsto dalla legge;
2) Se sopra i 65 mila Euro e fino a 2 milioni di Euro, optare per il CASH ACCOUNTING IVA introdotto con il “Decreto Crescita” art. 32-bis D.L. 83/2012, convertito con modifiche dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 a seguito della Direttiva 2006/112/CE come modificata dalla Direttiva 2010/45/UE del 13/07/2010 e ciò al fine di gestire IVA e la redditività per cassa (fino ai limiti consentiti), vanificando, almeno in parte, quel controllo che si vorrebbe imporre sulle dinamiche di fatturazione e sulla determinazione del debito IVA attraverso una liquidazione della stessa imposta d’ufficio (opzione da esercitare sulla dichiarazione IVA 2020).
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