Roma – Gli sbarchi degli ultimi mesi, potrebbe anche dirsi degli ultimi anni, che molte vittime mietono tra donne e bambini e le cui modalità contribuiscono a calpestare la dignità umana dei fortunati sopravvissuti, impongono una risolutiva riflessione sull’approccio istituzionale e normativo che i governi dell’intera Europa, nonché la stessa Unione Europea, sono chiamati a tenere.
La “questione immigrazione” non può più essere trattata come una charity, una gara di solidarietà, una prova che misuri la capacità di accoglienza di un solo Paese; non può ignorarsi lo stato di emergenza esploso in seguito all’arrivo in Italia di migliaia di migranti né la grave crisi umanitaria generatasi in seguito al loro insediamento, più o meno stabile, nei centri di accoglienza, luoghi inadeguati a garantire gli standard minimi di sopravvivenza, vero e proprio business per la criminalità che da essi attinge forza lavoro da impiegare negli ambiti più diversi: dalla prostituzione allo spaccio di droga passando per lo sfruttamento, o ancor peggio, la tratta di minori.
Indignarsi per i morti ed i dispersi in mare non contribuisce, poi, ad evitare che l’orrore si ripeta di settimana in settimana.
Chi arriva non ha un nome, spesso non è in possesso di documenti e rifiuta l’identificazione… Come potrà garantirsi un lavoro regolare, una casa e la possibilità di un futuro nel nostro Paese?
Qualche mese fa l’UE aveva creduto di risolvere il problema concordando una serie di discutibili aiuti economici a favore della Turchia (tre miliardi nel breve termine ed altrettanti entro il 2018) in cambio dei quali essa avrebbe dovuto farsi carico dello smistamento e del ricollocamento dei migranti giunti in Europa clandestinamente. I risvolti di quell’accordo sono al momento impercettibili, anzi, negli ultimi cinque mesi l’Italia sta davvero arrancando nel tentativo di fronteggiare l’incremento oltre misura degli sbarchi.
Eppure, l’Unione Europea ha, negli ultimi anni, inteso regolare la questione con degli interventi che ne chiariscano la posizione propendendo per una soluzione globale in materia di immigrazione, una sorta di politica comune da realizzarsi nel periodo 2014/2020; alcune direttive risalgono al lontano 2002, seguite da una serie di Comunicazioni datate 2008, 2011, 2014… tutte con esito pressoché ininfluente. Ciò concorre a dimostrare, ancora una volta, che l’UE non si muove seguendo un’immaginaria linea unitaria, un unico orientamento, specie su temi così complessi, ma rappresenta la somma algebrica di più Stati, lungi com’è dall’interpretare il principio federalista di matrice americana dell’e pluribus unum.
Ciò rappresenta una delle principali cause per cui l’Italia si ritrova abbandonata a se stessa nella guerra contro l’immigrazione clandestina; ed è sempre per questo motivo che molti Stati, tra cui Germania e Francia, hanno provveduto in via indipendente ad emanare norme atte a definire il fenomeno, accettando l’ingresso di un numero massimo di immigrati ai quali sia possibile garantire condizioni di vita adeguate (compresa l’attribuzione di un alloggio a carico del governo per il periodo necessario alla stabilizzazione sul territorio), contribuendo a collocarli, entro pochi mesi dal loro arrivo, nel mondo del lavoro e distribuendo tra gli stessi i fondi economici previsti per il loro mantenimento. Superata la soglia prestabilita interviene la fase dei respingimenti, che tanto sgomento creano nell’opinione pubblica ma che, a ben vedere, evitano quelle indecorose situazioni a cui si assiste quotidianamente in Italia: uomini e donne costretti a vivere in un tale stato di degrado che sembra non avere precedenti storici di pari entità.
di Barbara Varchetta, Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali (dire.it)