Ha destato grande preoccupazione la recente dichiarazione del Viceministro del governo turco, Numan Kurtulmus, che ha affermato che il suo Paese, dopo il fallito tentativo di golpe della scorsa settimana, sospenderà la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Si tratta di una misura che si aggiunge al già dichiarato stato di emergenza per i prossimi tre mesi. Molti politici hanno gridato allo scandalo, mentre tanti cittadini (italiani e non) si sono domandati se tale decisione fosse possibile a livello giuridico: ebbene, in realtà tale possibilità è prevista dall’art. 15 della stessa Convenzione, secondo cui «in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con altri obblighi derivanti dal diritto internazionale».
Se dunque, per un verso, appare chiaro che da parte turca non vi sarebbe (se davvero decidesse di proseguire in tale direzione – e purtroppo molti elementi sembrano confermarlo) nessuna violazione del dato normativo, è altrettanto vero, per altro verso, che essa – almeno in teoria – dovrebbe comunque adeguarsi ai limiti previsti proprio dallo stesso articolo.
Il quale, al comma 2, vieta la possibilità di deroga di alcuni diritti fondamentali: quello alla vita (art.2), quello al divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti (art. 3), quello del divieto di schiavitù (art. 4), quello secondo cui nessuno può essere giudicato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui sia stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale (nulla poena sine lege: art. 7). Senza considerare, inoltre, gli ulteriori limiti previsti in riferimento ad articoli di singoli protocolli: in primis il diritto a non essere giudicato due volte (divieto del ne bis in idem) o la proibizione della pena di morte.
Insomma, una deroga è possibile, ma entro determinati confini. Tanto più che il successivo comma 3 prevede che lo Stato che decida di esercitare il diritto di deroga sia però tenuto a informare nel modo più completo il Segretario Generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Lo Stato deve anche comunicare la data in cui esse cesseranno, con conseguente “rientrata in vigore” della Convenzione. Se ciò non bastasse, come ulteriore garanzia della rigida applicazione della deroga, vi è da aggiungere la possibilità, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, di controllare se vi sia proporzionalità tra il ricorso alla stessa e le cause che hanno portato il singolo Stato ad adottarla.
Un futuro difficile
Se questa è, in linea generale e astratta, la previsione normativa, in questo caso però non si può non condividere il timore di quegli analisti che giudicano molto preoccupanti i risvolti che potranno seguire alla decisione del Governo turco. Soprattutto se il Presidente Recep Tayyp Erdogan dovesse dar seguito al suo ulteriore annuncio, riguardante la reintroduzione della pena di morte nel suo Paese. Si tratterebbe di un provvedimento che, oltre a essere in contrasto con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, sarebbe anche contraria ai principi di quell’Unione Europea alla quale la Turchia vorrebbe da tempo aderire (in tal senso si è già espresso l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini).
Se a ciò si aggiungono, oltre alla forte spinta islamizzatrice che probabilmente seguirà queste decisioni, anche i pessimi rapporti che la Turchia ha con i suoi vicini (dalla Siria all’Iraq, passando per la Grecia, Cipro e l’Armenia), sembra davvero sfumata, per Ankara, la strategia in politica estera del “zero problems towards neighbors”, trasformatasi, secondo alcuni, in quella del “Nothing But Problems”. Così come sembra sfumato il vecchio sogno di Mustafa Kemal Atatürk (considerato il padre della Turchia moderna), strenuo propugnatore della laicità dello Stato. (Marco Valerio Verni F.O.N.)