di Antonio Agosta (Redazione Sicilia)
La desolazione di essere nati in un luogo governato dalle guerre, dalla fame e dalla povertà, privo di futuro per i propri figli e umiliati da un Occidente finto perbenista, raccontato con gli occhi al risveglio sul treno di chi non ha più nulla perdere.
Prosegue il viaggio dei profughi siriani, afgani e iracheni arrivati in treno a Budapest, Ungheria, verso la prosperosa Europa per fuggire dall’inferno del loro Paese martoriato dai conflitti interni e dalle sofferenze umane.
Ormai è un flusso che appare inarrestabile, un’odissea di profughi e di migranti in marcia verso la Germania, la Norvegia, la Svezia e l’Olanda, paesi ricchi, per uomini, donne e bambini che si accalcano sui treni per ritrovare quella libertà perduta da molto tempo e la dignità di sentirsi uomini uguali a tutti gli altri esseri umani. Forse è già iniziata una crisi che durerà più di 20 anni e che non vedrà mai una luce, come dichiarano gli uomini di potere dei Paesi industrializzati.
Purtroppo l’Europa non si dimostra così solidale nei loro confronti, sembra quasi di rivivere il secondo conflitto mondiale finito da 70 anni, vengono alzati i muri della vergogna e realizzate le barriere con i fili spinati per impedirne il loro ingresso in città e, in alcuni casi, marchiati sul braccio con un pennarello per identificare il treno d’arrivo e il vagone. Sono ferite morali che nessuno dimenticherà mai più, neanche quei poveri bambini sbattuti da un luogo all’altro senza capirne il motivo.
Molti profughi e migranti si rifiutano di cibarsi per protesta a una classe politica, come quella europea, improntata al razzismo, quasi distaccata nel vedere i corpi restituiti dai mari durante l’attraversata del Mediterraneo per raggiungere l’Europa.
Tutti i giorni sembra di vivere un’avventura senza fine, si parte in treno credendo di fuggire da una catastrofe umana, increduli che è solo tutta una finzione bene architettata politicamente. I treni vengono fermati a 37 chilometri da Budapest per poi trasportare i profughi con l’autobus nei centri per rifugiati, dove lì rimarranno a tempo indefinito.