“Male di vivere” è l’espressione emblema della letteratura e cultura del ‘900, da considerare aforisma che racconta accuratamente il tormentato, il quale trovando accoglienza fra gli scritti di grandi autori, come Giacomo Leopardi, si insinuò dolcemente nelle menti di ognuno scuotendo aspramente l’animo, che sprofondato in un sonno apparentemente senza uscita e colmato da una cultura che preferiva sopprimere anziché dar spazio ai turbamenti dell’uomo, iniziò pian piano a trovare una propria dimensione giungendo, accompagnato dalla psicologia, più dettagliatamente dalla psicanalisi ad opera di Sigmund Freud, ad una comprensione sempre più sentita e profonda del proprio essere, percorrendo i meandri di un animo, che ormai stanco ed avvilito, pretende ardentemente ascolto. Come “male di vivere” viene definita quell’insoddisfazione data da un’estrema consapevolezza della condizione esistenziale dell’uomo; la vita percorso travagliato, sembra apparire come un lungo cammino caratterizzato da solo dolore, il quale, scaturito dall’impossibilità del poter rispondere ai grandi interrogativi e quindi di raggiungere la felicità, logora internamente portando l’uomo alla considerazione di due vie d’uscita: l’accettare la propria condizione senza ribellarsi al corso degli eventi che inevitabilmente riusciranno poi nell’intento di sopraffazione, oppure scegliere la morte, considerata come unico mezzo per porre definitivamente fine alla sofferenza o come mero atto di vigliaccheria. Nel corso del tempo si è certi che quest’espressione possa restar collocata in un lontano passato? o potrebbe esser considerata molto più attuale di quanto spesso si immagina?
(Morena De Luca)