La neve cade dolcemente sulla città, ammantando di bianco la Tour Eiffel, Notre-Dame e il Panthéon.
di Antonio Agosta (Redazione Sicilia)
“È iniziato tutto nel giardino di Monet a Giverny. Lo ricordo come se fosse ieri. Era il dicembre del 1979. Da più di trent’anni, ogni sera mi domando come sarebbe stata la mia vita se non fossi entrato in quel giardino.” Quasi fosse una caccia al tesoro, privo di un vincitore, l’autrice del romanzo vuole mettere alla dura prova la fragilità morale dei suoi protagonisti, e lo fa con una lettura di pensiero che sconvolgerà la tranquilla e apparente esistenza di Frèdèric Solis e di Pètronille. Tutto gira attorno alla pittura degli impressionisti francesi, da Monet a Sisley, come riscoperta visiva dei paesaggi di un mondo tutto da riscoprire, perduto. Un inizio di lettura quasi tedioso, fastidioso, come se Parigi fosse il centro del mondo, e il resto solo briciole di una ciambella data ai senzatetto. Il romanzo, diventa interessante, nel momento in cui Frèdèric Solis, avvocato di professione, s’imbatte in una particolare eredità ricevuta da uno sconosciuto, Fabrice Nile, con un lascito fatto di biglietti di treno e musei, una caccia al tesoro sulle tracce di un quadro dimenticato di Monet, nel ricordo di un bambino con il pigiama di flanella e del suo ultimo Natale, quello del 1979, accanto al padre Ernest Solis, che scruta i dipinti francesi stampati sui calendari. La bravura di Vermalle, l’autrice, sta nel fatto di aver realizzato un puzzle di lettura intrinseco di coincidenze e di verità nascoste, un viaggio senza ritorno, che solo alla fine saranno svelate attraverso una virtuale partita a scacchi, molto dura e solitaria. Un problematico compito lasciato nelle mani di Pètronille, segretaria dell’avvocato Solis, nella scoperta di una realtà per nulla scontata, perché solo alla fine vince la felicità delle piccole cose, una felicità che ti rimetterà in gioco, come lo stesso bambino del Natale del 1979.