Le relazioni internazionali e l’industria della Difesa sono, in linea di principio, due mondi in parte sovrapponibili. Sono gli Stati a varare nuovi progetti, ad acquistare sul mercato internazionale nuovi aerei e navi, a stringere accordi con Paesi stranieri per programmi militari miliardari. Il tutto poi deve fare i conti con le oscillazioni della politica, che molte volte a seconda del colore di governo (o anche del solo calcolo elettorale) sceglie come, quanto e con chi aprire i cordoni della borsa.
A ciò vanno inoltre aggiunte le diverse legislazioni nazionali, che permettono o vietano, quindi facilitano o complicano, gli affari internazionali dell’industria.
In Italia le principali industrie del settore fanno parte della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (AIAD), associazione iscritta a Confindustria di cui sono soci anche l’Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili (ANPAM) e l’Associazione per i Servizi, le Applicazioni e le Tecnologie ICT per lo Spazio (ASAS).
Dal settembre del 2014 Presidente dell’AIAD è Guido Crosetto. Cuneese di nascita, con un lungo passato in politica (dalla DC a Fratelli d’Italia passando per il PdL), Crosetto è stato dal 2008 al 2011 Sottosegretario alla Difesa nel quarto governo Berlusconi.
Quasi due anni alla guida dell’AIAD. E’ l’ora di un primo bilancio: quali gli obiettivi raggiunti in questo biennio?
Abbiamo fatto molto lavoro di coordinamento, specialmente nel settore dell’export. Basti pensare che nel 2015 le autorizzazioni alle esportazioni sono state 8 miliardi, nel 2014 solo 3 miliardi.
C’è però ancora moltissimo da fare, soprattutto all’estero. L’industria nazionale ha competenze e tecnologie di altissimo livello. Il problema è la legislazione italiana, anzi la giurisprudenza. E’ difficile competere in un mondo particolare come questo. Nel nostro Paese ci sono magistrati che aprono inchieste per corruzione internazionale, anche se non esiste, mentre in Francia sulla stessa materia c’è il segreto di Stato. E quelle che in Italia vengono chiamate tangenti – cioè i compensi per gli intermediari – in Francia sono pagati dallo Stato. Forse occorre che i magistrati approfondiscano meglio ed evitino di cercare lo scoop a tutti i costi.
Qual è lo stato di salute dell’industria della Difesa e aerospaziale italiana?
Ci sono prodotti di altissimo livello che stanno dando frutti sul mercato. Penso alla recente vendita dell’Eurofighter, oppure all’M-346, il miglior aereo della categoria. Il C-27J ha grandi potenzialità, ma deve essere ancora industrializzato al meglio. Le prospettive per la parte aeronautica quindi sono buone. Meno per gli elicotteri, dove siamo nel pieno di una crisi mondiale.
Per quanto riguarda lo spazio, il mercato continua a vivere degli investimenti dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e di quella italiana (ASI). In questo caso, a mio avviso, c’è spreco di risorse, con programmi anomali nati più per far nascere le imprese che per ottenere dei risultati. Credo che nel segmento spaziale dovremmo puntare sulle realtà consolidate che abbiamo, come Avio, Thales Alenia Space Italia e Telespazio.
Qualche settimana fa è stato approvato il Piano Nazionale per la Ricerca. L’aerospazio e la Difesa sono individuati come una delle cinque aree di specializzazione nazionale intelligente. Si prevedono nuovi fondi?
Ce lo auguriamo, anche perché abbiamo molte meno risorse rispetto ai principali competitor, come la Francia, che per la ricerca spende trenta volte più di noi. La ricerca è fondamentale per competere non sul mercato di oggi, ma in quello del futuro. Normalmente il nostro Paese investe poco in ricerca, e a questo si aggiunge un pregiudizio per quanto riguarda il settore della Difesa. In Italia quando si parla di Difesa le persone hanno paura di sporcarsi le mani. Mi secca parlare sempre della Francia, ma lì l’industria della Difesa, che ha un elevatissimo contenuto tecnologico, viene portata in palmo di mano. Da noi, invece, non se ne parla e si tende a nasconderla.
Secondo lei perché?
Credo residui di cattocomunismo inoculati nel passato. E così le persone si lavano la coscienza non parlando di alcune cose o snobbandole.
La politica è attenta al settore delle Difesa? Potrebbe fare di più?
L’Industria della Difesa si basa sulla politica, sia per la spesa interna che per le vendite all’estero. Per quanto riguarda l’export, le vendite dovrebbe avvenire con il coinvolgimento governativo, ma questo da noi avviene solo in parte. Noi non abbiamo gli strumenti adeguati, perché il nostro governo non può vendere direttamente con accordi GtoG (Government to Government, ndr), come accade in Francia, dove è lo Stato che firma il contratto.
Da noi invece lo Stato è solo un osservatore. In Italia, ad esempio, quanto fatto dai francesi in Egitto sarebbe legalmente impossibile. In sostanza, non abbiamo gli stessi strumenti commerciali dei nostri principali competitor, come la Francia, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti.
Poi non abbiamo la tutela legislativa per le aziende che esportano. In Francia, come detto, c’è il segreto di Stato. Siamo riusciti a vietare la possibilità per lo Stato di vendere direttamente all’estero con l’illusione che così si potesse controllare tutto, mentre in realtà è l’esatto contrario, perché è più difficile monitorare i rapporti tra privati. Le tipiche contraddizioni italiane: facciamo le cose, ma non dobbiamo dirle. E tutto questo all’estero risulta incomprensibile.
India, Italia, Leonardo-Finmeccanica. Un triangolo che in queste settimane si è arricchito di eventi e colpi di scena. La settimana scorsa il paese asiatico ha annunciato che Leonardo sarà tagliata fuori dai contratti per la Difesa. Una ritorsione?
Una logica conseguenza della sentenza dei giudici italiani. Il problema certamente non sono i Marò, anche se il Ministro della Difesa indiano ha utilizzato i tempi del caso dei due fucilieri in modo politico. In questo momento esiste una lotta interna in India. Il partito di Sonia Gandhi viene accusato dagli avversari di essere troppo filo-italiano. E la Gandhi, pur di non sembrare dalla parte di Roma, alla fine è diventata ostile all’Italia. In realtà, ad offrire il fianco alla decisione indiana, è stata la sentenza della magistratura su Orsi e Spagnolini.
Quando la magistratura italiana dice che i due manager di Finmeccanica hanno corrotto, per gli indiani è facile dire la stessa cosa e metterci nella black list. A monte, mi chiedo, bisognerebbe capire perché sono state condannate due persone considerate da tutti oneste. Senza aggiungere il fatto che Orsi e Spagnolini non sono stati accusati di aver preso soldi. Chiaramente la vicenda dei Marò si è intrecciata con il caso Finmeccanica, perché non ha aiutato a distendere le posizioni. Ma è strumentale l’interpretazione che quanto accaduto a Finmeccanica sia una ritorsione per i Marò. Personalmente credo che gli indiani siano stati contenti di averli fatti tornane in Italia.
Secondo i dati del Stockholm International Peace Research Institute l’India ha speso nel 2015 51,3 miliardi di dollari nel settore militare, il 2,3% del suo PIL. Si tratta del sesto paese (il quinto secondo un’altra classifica) al mondo per spesa militare. E’ un mercato importante per le aziende italiane? Qual è l’esposizione di Leonardo nel Paese?
Leonardo non ha messo nulla a bilancio e a livello immediato non ci sono grandi conseguenze. A medio termine, invece, sono convinto che la politica aggiusterà tutto e si ritornerà alla normalità. Poi, ora, se non c’è l’India c’è il Pakistan.
Le piace il nome Leonardo per la nuova Finmeccanica? Crede che la riorganizzazione e la trasformazione in One Company sia un vantaggio per il gruppo?
Mi ci devo ancora abituare. Per quanto riguarda il futuro, stiamo lavorando e vedremo se ci saranno frutti.
L’industria nazionale è impegnata in diversi programmi internazionali. Tra questi uno dei più importanti, ma non l’unico, è il JSF F-35. Si tratta di un programma molto controverso, visto che l’aereo sta dimostrando una maturazione tecnologica molto lenta. In ogni caso in Italia il programma ha ricadute industriali e occupazionali di un certo ordine, anche se l’investimento governativo è importante. Quale è il rapporto costi/benefici per l’Italia?
Se fossimo rimasti sopra i cento aerei, il rapporto sarebbe stato chiaramente a favore dei benefici, che sarebbero stati il doppio dei costi. Parlo ovviamente a medio lungo termine e senza contare il ruolo di Cameri come centro europeo di MROU (Maintenance Recorder Unit).
Scendendo a 90 aerei, abbiamo perso molto più di quel 10% di possibile ritorno economico. A occhio direi che abbiamo lasciato per strada almeno il 50% dei benefici.
Oggi è però difficile dire cosa accadrà. Se lo Stato italiano mantiene il punto e continua a parlare con gli Stati Uniti per aiutare le aziende italiane, allora con 90 aerei il rapporto tra costi e benefici potrà arrivare a pareggiare.
L’importante però è continuare a lavorare e non mandare messaggi negativi agli americani.
Non dobbiamo dimenticare che per avere alcune competenze tecnologiche qui in Italia è necessario avere l’avallo del Congresso americano. E in questo caso il lavoro può essere solo svolto dal governo.
L’AIAD aveva avanzato la possibilità di un sostegno politico capace di garantire, ad esempio, la sostenibilità dei costi non ricorrenti alle PMI impegnate nei grandi progetti internazionali come quello dell’F-35. Quali sono i capisaldi di quest’idea e a che punto siamo?
Andiamo avanti insieme al Segretariato generale della Difesa e alla Direzione Armamenti Aeronautici e per l’Aeronavigabilità (ARMAEREO). La scelta qui è politica e si vedrà nel bilancio. Le nostre aziende si trovano svantaggiate rispetto a quelle americane, che hanno i costi non ricorrenti pagati. Per spiegare, se io devo comprare un macchinario per fare dieci pezzi, se i soldi me li dà lo Stato faccio i primi dieci pezzi ma poi ne faccio altri mille, dove inizio a guadagnarci. Al contrario ammortizzare il proprio investimento con solo i primi dieci pezzi è impossibile.
F-22, il T-X, il B-21. L’USAF si muove. C’è possibilità per le aziende italiane di lavorare negli Stati Uniti?
Nel caso dell’M-346, che concorre per il T-X, si tratta della migliore macchina per addestramento sul mercato. E non lo dico io, ma gli israeliani e singaporiani, le aviazioni militari più esigenti ed efficienti sul pianeta. In generale uno dei problemi per lavorare negli Stati Uniti è come si compongono gli interessi all’interno del Congresso, dove va fatto un lavoro di lobbying insieme al partner locale. Sempre che la magistratura italiana non consideri anche il lavoro di lobbying negli Stati Uniti corruzione internazionale… (dice Crosetto scherzando, ndr)
Con l’ASI e le altre associazioni di settore è stato istituito un tavolo per arrivare alla ministeriale ESA di dicembre, e prima alla definizione della European Space Strategy. Quali sono i nostri obiettivi nazionali?
Dovreste chiederlo all’ASI, perché io non riesco a capirla. Guardiamo il caso dei direttori generali dell’ESA, dove come nazione non abbiamo avuto praticamente nulla. Mi riesce veramente difficile capire qual è, e se c’è, la nostra strategia nel campo.
Che tipo di rapporto c’è con l’ASI, specialmente nella gestione dei rapporti internazionali? Coordinamento oppure ognuno si muove in ordine sparso?
L’ASI si muove da sola, anche perché ha un’importante rete di rapporti con tutti il mondo. A mio avviso, tuttavia, non coglie tutte le possibilità che potrebbe avere. Allo stesso tempo credo che la nostra agenzia spaziale abbia soggezione nei confronti dei francesi e dei tedeschi. Manca la giusta spinta sulle aziende italiane. D’altro canto, le principali aziende di satelliti che abbiamo in Italia non sono neanche completamente italiane.
E su AVIO?
Può essere uno dei nostri gioielli tecnologici e su di essa va fatto un ragionamento strategico, perché è guidata da un fondo d’investimento, che come tale vuole solo massimizzare l’investimento. Quello di AVIO è un problema che il governo deve porsi. Ci sono diversi soluzioni, tra cui l’integrazione in Leonardo-Finmeccanica, ma in questo caso va valutata la compatibilità di bilancio del gruppo. Credo che debba essere trovata una soluzione che tenga AVIO in Italia e la difenda dall’aggressività di Airbus.
(Alessandro Iacopini – flyorbitnews)