La petrolceltic è una società off shore, insieme all’Eni, (ente nazionale idrocarburi), detiene la quasi totalità delle concessioni governative per le ricerche di gas e petrolio in Italia.
Le società off shore sono dei derivati delle multinazionali e si creano in quelle nazioni, dove il livello d’imposte è molto basso.
Nonostante le precarie condizioni economiche della società Petrolceltic Italia srl, lo scorso dicembre, il Ministero dello sviluppo economico, con decreto n.176 ha autorizzato l’azienda, alla ricerca d’idrocarburi liquidi e gassosi nel mar Adriatico, tra l’Abruzzo, il Molise e le Isole Tremiti, a una distanza di 13,4 miglia marine dal litorale fino al 2021.
La Petrolceltic, per scavare pagherà allo stato Italiano una tassa irrisoria poco meno di 2.000,00 euro l’anno. Il nuovo permesso, convenzionalmente chiamato “B.R274.EL” si aggiunge alle altre undici autorizzazioni, già rilasciate dal Ministero dello sviluppo Economico nel giugno 2015, attorno all’oro nero, gira un’immensa spropositata, quantità di denaro e sono tutti pronti a prendersi la propria porzione danarosa, nessuno escluso, nel contempo sono a rischio vaste aree marine e terrestri, dei veri e propri paradisi ambientali. In questo periodo si scava su un territorio che corrisponde circa alla Lombardia e Campania messe insieme, domani le trivelle saranno molte di più.
Il permesso “B.R274.EL” è stato rilasciato dal ministero dello sviluppo economico il 31/12/2015, il giorno prima dell’entrata in vigore della Legge di Stabilità che ne avrebbe determinato, forse il rigetto, proponendo nuove perimetrazioni e regole.
Le intenzioni del governo sono chiarissime, trivelle a ogni costo, per fortuna non mancano le voci dissenzienti, con quale forza non lo so, l’unica cosa certa è che i soldi, come al solito, muoveranno i tutti i perforatori e politici compiacenti.
Sono tutti pronti a balzare sul treno dell’oro nero come promette il decreto, sblocca(e crepa)Italia. Il popolo sarà rinforzato con iniezioni di ottimismo: lavoro per tutti, benzina a basso costo, la felicità a un passo dal cielo, il petrolio è a portata di mano, evviva l’oro nero!
I giacimenti in funzione sono: Basilicata, Abruzzo, Piemonte, Veneto e Lombardia. Inutile ripetere che in quelle zone, l’indotto ambientale è compromesso.
Natura, ecologia, flora, fauna, alimentazione e i significati a essi correlati non hanno importanza in funzione dei miliardi di euro programmati per le ricerche di olio e gas.
Il 17 aprile 2016 ci sarà il referendum e subito dopo, forse a giugno, l’elezioni amministrative, quindi i
partiti e gli schieramenti per le campagne elettorali non avranno a disposizione il tempo utile di 45 giorni, quindi sarà una grande baraonda.
I cittadini saranno chiamati a pronunciarsi sull’abrogazione della legge sulle trivellazioni, cioè se i nuovi titoli, già rilasciati per l’estrazioni nelle seguenti regioni, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, debbano essere salvati oppure no.
Il referendum sblocca-trivelle è la gallina dalle uova d’oro. La strategia energetica nazionale ha in mente di raddoppiare l’estrazione degli idrocarburi fino a 24 milioni di barili all’anno, investimenti per 15 miliardi e ancora tanti fantamiliardi da dividere con i soliti ignoti.
Ho il timore che le sorti siano già decise. Forse no è possibile che gli esiti del referendum siano diversi da quello che si crede.
In questo caos, spero si affronterà anche il problema dell’inquinamento.
La Basilicata è la regione più povera d’Italia con la più alta percentuale nazionale di mortalità per malattie tumorali, 8.000 persone disoccupate, 400 siti contaminati dalle attività estrattive, l’agricoltura compromessa quasi per sempre ma l’Eni dice: è ricca di petrolio e va tutto bene.
Il disastro ambientale è ormai conclamato ma chi denuncia la massiccia presenza d’idrocarburi, nei fiumi, nei laghi va in galera. L’attività estrattiva è iniziata nel 1981 e in val d’Agri a tutt’oggi, sono passati nel silenzio, ingenti fuoriuscite di greggio, cospicui quantitativi di gas inquinanti e misteriose intossicazioni da idrogeno solforato ma l’Eni dice che va tutto bene e la Basilicata è ricca di petrolio.
Un pietoso tira e molla tra chi dice che non c’è traccia d’inquinamento da idrocarburi e chi sventola dati raccapriccianti.
La drammatica storia del petrolio, in Basilicata e presto in tutte le altre regioni, si perde tra le connivenze politiche delle cariche istituzionali, assessori, consiglieri, deputati, esponenti della guardia di finanza, dei servizi segreti, imprenditori, banchieri e finanzieri. Tutti personaggi al centro di inchieste con un unico comune denominatore: il petrolio e i soldi.
Petrolio tossico nei fiumi, nei laghi, ovunque!
Il modello da imitare dei petrolieri rampanti, è rappresentato dal “Centro Oli” in val d’Agri, un mostro di ferro che spesso esplode, erutta e s’infiamma, produce 104.000 mila barili di petrolio al giorno e riversa gli scarti fetidi nelle acque del fu lago di pietra, oggi ridotto a un amalgama puzzolente di tensioattivi provenienti dai depuratori che non funzionano.
Non sono mancate le denunce, come quelle del tenente Giuseppe Di Bello che dopo aver segnalato l’inquinamento delle acque del lago, fu sospeso dal servizio. Oggi è prosciolto da ogni accusa.
Si parla pochissimo del disastro ambientale in Basilicata, soprattutto perché il “Centro Oli” deve essere un esempio da seguire e il messaggio contenuto nella famigerata “Strategia Energetica Nazionale” è:
“Trivellare fa bene all’economia, alla nazione, alla bolletta.”
Una cattiva amministrazione politica produce danni gravissimi, quanto quelli della criminalità organizzata nella terra dei fuochi ma la vera domanda è:
“ Dove comincia l’uno e finisce l’altro? “
In ogni caso il governo Italiano mira al raddoppio della produzione entro il 2020, quindi ripeto, soldi a iosa e sono tutti pronti a saltare sul treno dell’oro nero buono o cattivo che sia.Io faccio il tifo per il sistema “blocca-trivelle”, ovviamente!