Il Sud Sudan, lo stato più giovane del pianeta, è ad un bivio: da un lato la pace, dall’altro l’ennesima lunga guerra civile. Il presidente di etnia Dinka, dopo la firma dei trattati di pace, riabilita il vicepresidente di etnia Shilluk, con cui è in conflitto dal 2013. Dopo due anni di guerra, nonostante le violazioni degli accordi, si torna a sperare.
Il Sudan del Sud è lo stato più giovane al mondo: ufficialmente, è nato nel luglio del 2011 grazie ad un referendum che ne ha sancito l’indipendenza dal Sudan; referendum che era stato fissato dagli accordi di pace firmati nel 2006 alla fine della guerra civile tra il Sudan del sud e il Sudan del nord. La storia dei due paesi negli ultimi 80 anni è quasi esclusivamente fatta di guerre civili, carestie e morte. Prima data fondamentale è sicuramente il 1947 quando l’Egitto e il Regno Unito, decidono di andare via dal paese e prima di concedere l’indipendenza, unificano la zona nord e la zona sud del paese. Quest’azione non è stata di certo priva di conseguenze: la parte nord, abitata da popolazione in maggioranza musulmana, è sì, la zona più estesa del paese ma anche la più povera; la parte meridionale, abitata da popolazione in maggioranza cristiana e animista, invece è la parte più ricca del paese, grazie ai suoi giacimenti petroliferi. Le tensioni tra le due zone iniziano all’indomani dell’indipendenza ufficiale del paese, datata 1953. La prima guerra civile tra Nord e Sud, si protrae dall’Agosto del 1955 fino agli accordi di Addis Abeba del Marzo 1972. Dopo 17 anni di guerra, 500 mila morti, centinaia di migliaia di sfollati e profughi, grazie anche alla mediazione dell’imperatore Etiope Haile Selassie I, il nord e il sud firmano una tregua. Al sud, dopo anni di autoritarismo e centralismo delle’élite politiche settentrionali, viene riconosciuta una larga autonomia per una sola regione con poteri amministrativi propri. Nel 1983 però la guerra si ripresentò più forte che mai: il presidente nord sudanese Ja’far al-Nimeyri, impose la sharia in tutto il paese, istituì dei veri e propri tribunali religiosi che processarono molti non musulmani residenti nel nord del Sudan e sciolsero il governo Sud Sudanese. L’azione politica e militare del presidente causò la sollevazione del sud, guidato da John Garang, che organizzò e guidò nelle operazioni l’esercito di liberazione del popolo di Sudan. La seconda guerra civile sudanese, come la prima, fu molto lunga e si protrasse fino al gennaio del 2005. In vent’anni oltre 1,9 milioni di morti, 4 milioni di sfollati e il paese intero in ginocchio. Agli accordi di pace si è arrivati solo grazie all’intervento internazionale a seguito della grave siccità che colpì il paese nel 2000: per la prima volta la diplomazia si è proposta da paciere tra le forze in conflitto: una prima bozza dei possibili accordi di pace fu firmata a Nairobi nell’Ottobre del 2002, sotto la guida delle Nazioni Unite. La definitiva cessazione delle ostilità si ebbe solo nel 2005, con la firma degli accordi di Naivasha, da parte del governo sudanese e dei ribelli dell’SPLA. Negli accordi si concedeva autonomia completa al sud per sei anni, al termine dei quali sarebbe seguito un referendum sull’indipendenza o meno del sud cristiano. Referendum tenutosi tra il 9 e il 15 Gennaio 2011,con oltre 3 milioni e nove di sud sudanesi votanti. Stravinse il si all’indipendenza con il 98,8% delle preferenze. La situazione sembrava finalmente risolta: il nord non si era opposto né militarmente né politicamente, il sud era ufficialmente la nazione più giovane del pianeta. La costituzione del paese fu ratificata il 7 luglio del 2011 e i dieci stati che lo costituiscono, guardarono con speranza al neonato paese. Ma sul finire del 2013 l’ennesima guerra civile si è abbattuta sul paese: lo scontro stavolta si combatte tra le due etnie dominanti del paese, quella dei Dinka e Shilluk, guidate da un lato dal presidente Salva Kiir Mayärdït, che aveva preso il potere all’indomani della morte di John Garang, e dall’altro da Riek Machar, suo vicepresidente. Il presidente Salva accusa il suo vice Machar, di un presunto tentativo di colpo di stato. Le forze leali al presidente arrestano 11 funzionari governativi ritenuti complici del mancato golpe e Machar è stato destituito dalla sua carica. Il conflitto è scoppiato il 15 dicembre del 2013 e ha causato, secondo il rapporto dell’Unione Africana, un migliaio di morti e 345 mila sfollati. Nel rapporto si legge, inoltre, che entrambi gli schieramenti sono considerati responsabili di centinaia di atrocità e crimini di guerra: operazioni di pulizia etnica, fosse comuni, stupri collettivi, torture, passando per l’arruolamento di bambini soldati ai primi casi, causa la crescente malnutrizione, di cannibalismo. Stavolta però la comunità internazionale non è stata a guardare; alla fine di gennaio 2015, gli Stati Uniti sono riusciti ad ottenere la firma di un trattato di pace tra le due forze in campo: l’accordo prevede la fine immediata dei combattimenti, la deposizione delle armi entro 30 giorni, la liberazione di tutti i prigionieri, l’istruzione di una commissione di inchiesta che deve vigilare sul processo di riconciliazione delle due parti e l’insediamento di un governo transitorio. Dal Gennaio 2015 però la guerra non si è fermata, e ci sono state continue violazioni degli accordi. Nel Novembre 2015, il Papa è sceso in campo, incontrando il presidente Salva a Kampala, chiedendo con veemenza la fine delle ostilità. Il 2016 si è aperto con una nuova speranza: Salva Kiir, agli inizi di Febbraio, ha annunciato la riabilitazione di Machar, nella sua carica da vicepresidente. Primo importante passo verso la pace nel Sud Sudan, ma il percorso del più giovane stato del mondo è ancora ricco di ostacoli: la crisi umanitaria, la ripartizione dei proventi delle estrazioni petrolifere, il servizio sanitario al collasso e la litigiosità dell’élite al potere. Non resta altro che aspettare e vedere se la pace durerà o sarà l’ennesimo tentativo fallito.