Tralasciando il solito balletto delle cifre (tipica “sindrome del pescatore al bar”), chiunque sabato 30 gennaio, abbia manifestato al Family Day, merita rispetto, anche e soprattutto, da parte di chi vede la cosa in maniera diversa. Il bene più prezioso di un paese civile e democratico, è la libertà di espressione delle proprie opinioni; sempre, per tutti e in qualunque forma, purché rispettosa delle regole previste dalle leggi. Fatta questa doverosa premessa, trovo molto discutibili le modalità con le quali attorno alla vicenda, già da settimane si è tentato e si continua, a deviare dalla corretta informazione. In questo clima di assolute certezze e verità, argomentate a suon di slogan, dove tutti diventano magicamente esperti di adozioni, antropologia culturale, giurisprudenza e pedagogia, il risultato più blando è stato aggiungere confusione alla confusione e quello più acuto, il radicalizzare le posizioni riempiendole di ideologia, fino a rasentare il terrorismo. Sono un Pedagogista con Specializzazione Forense e mi occupo frequentemente di adozioni/abbandoni, CTU e Perizie specifiche, nei settori della giustizia civile e penale. Con l’umiltà di chi si interroga e pone dubbi, se mi è concesso, vorrei portare un contributo a carattere “tecnico”, a basso dosaggio di condizionamento soggettivo (semmai la mia opinione se richiesta, la posso esporre in altra sede), distensivo e magari utile ad attivare riflessione e confronto, verso una possibile chiarificazione.
Gran parte della confusione è originata, dalle differenti interpretazioni che si stanno dando al disegno di legge che “disciplina le unioni civili”; poiché essendo giunto alla fase di discussione in Senato, è abbastanza normale ognuno porti anche fuori dalle aule parlamentari, le diverse posizioni.
Prima di attivare qualsiasi dibattito, invito i tanti che si sbracciano emettendo sentenze sommarie, a dare una lettura al testo del DDL in questione (sono poche pagine ed è facilmente reperibile), affinché possano sapere di cosa si sta parlando e crearsi un’opinione fondata su dati oggettivi, piuttosto che trascinati da un’onda emotiva ed istintuale.
Richiamata quindi la lettura del testo come prerequisito, sarebbe opportuno ragionare insieme, su quello che viene identificato come nodo di criticità portato a giustificazione di un family day (giornata che promuove il modello “tradizionale” di famiglia), il quale riguarda quella parte del DDL che ruota attorno alla “stepchild adoption”.
Varrebbe la pena sapere che questo dispositivo è normato dal 1983 con la legge 184 “Diritto del minore ad una famiglia” e vi si ricorre quando due adulti formano una nuova famiglia ed uno di loro, o entrambi, portano nel nuovo nucleo (famiglia ricostituita), un figlio avuto da una precedente relazione.
Questo dispositivo di legge, consente l’adozione del figlio del coniuge, con il consenso del genitore biologico, solo se l’adozione corrisponde all’interesse effettivo del figlio e con il suo consenso, dopo i 14 anni di età di questi e comunque, sempre con il suo parere consultivo, qualora avesse meno di 14 anni.
Per “interesse del figlio”, si intende l’acquisizione del diritto di vedersi riconosciuta da parte del genitore non biologico, assistenza morale e materiale, parimenti al genitore biologico. Diritti del figlio, che automaticamente diventano doveri del genitore adottante.
In sintesi tale provvedimento, ha il preciso scopo di consolidare i legami all’interno di una famiglia “ricostituita” e potenziare, duplicandole, le responsabilità genitoriali.
Questo in via ordinaria, dal 2007 fino ad oggi, riservato alle coppie “eterosessuali” (prima del 2007 era necessario essere uniti civilmente in matrimonio).
La parte del DDL “inquisita”, qualora si trasformasse in legge se approvata, estenderebbe tale provvedimento anche al genitore non biologico convivente, indipendentemente dall’orientamento sessuale della coppia.
In sintesi, anche a coppie di fatto, non necessariamente dello stesso sesso e non unite in matrimonio.
Il dissenso e la presa di posizione, si snoda proprio sulla possibile “diversità” di orientamento sessuale, sul quale ognuno, pur liberissimo di mantenere posizioni che vuole, dovrebbe almeno interrogarsi su: cosa toglie al figlio, dal momento che la prerogativa stessa della legge, finalizza l’adozione, solo se è nell’interesse del figlio?
A questo bisognerebbe dare risposta, possibilmente argomentando con contenuti anziché con posizioni preconcette e catastrofiste.
Sempre per amor di chiarezza e nel rispetto di tutte le posizioni, è utile inoltre ricordare, che l’istituto giuridico dell’adozione, in tutte le sue forme (compresa la stepchild adoption), non è una concessione che avviene in modo automatico, ma prevede un complesso iter.
Viene disposta dal Tribunale per i Minorenni dopo un accurato percorso valutativo in cui diversi soggetti pubblici che operano nell’interesse collettivo in base ai principi della Costituzione (Commissione Governativa, Regione, ASL e Servizi Sociali), giocano un ruolo di screening sull’idoneità della coppia adottante. Valutazione economica, affettiva, nonché sulla capacità educativa dei richiedenti.
Al riguardo, invito gli “scettici ad oltranza”, a chiedere a chiunque abbia adottato (o ci abbia provato in passato) o sia in procinto di farlo oggi, come funzionano le cose, per avere la percezione dell’opportuno rigore e della complessità che l’iter prevede.
Il Tribunale per i Minorenni, spesso nella quotidianità dei “non addetti ai lavori”, viene maldestramente chiamato “Tribunale dei Minorenni”, questo errore lessicale spesso si palesa in fraintendimento semantico che tende ad abbassarne il livello di valore sociale, rivolto proprio verso i minori.
Si chiama così proprio perché istituito “per” i minorenni e non “contro” di essi!!
Avere scarsa considerazione di tutto ciò, significa non avere rispetto delle tante coppie che vogliono adottare e delle tante professionalità impegnate a vario livello, ivi comprese, le oltre 60 Associazioni onlus, accreditate, autorizzate e rispondenti ai requisiti previsti dalla convenzione dell’Aja.
Altro elemento che i più accaniti rappresentanti del Family Day sostengono ardentemente (ai quali va ribadito e garantito il rispetto delle posizioni), riguarda la questione “utero in affitto”.
Premesso che sarebbe stupido negarne l’esistenza, in quanto in molti paesi del mondo è praticabile legalmente seppur con diverse regolamentazioni e forme di vincolo, va ricordato che vi ricorre, chi per ragioni biologiche non è in grado di portare a termine una gravidanza.
Anche qui, basterebbe leggere il testo per rendersi conto che in nessun rigo del DDL, né direttamente né indirettamente, vi sono possibili riferimenti, tali da paventarne il rischio.
Se poi aggiungiamo che trattasi di una modalità assolutamente illegale e che tale rimane, risulta oggettivamente difficile, vederne la praticabilità e i nessi di correlazione, stante a quanto finora enunciato.
Questo non significa che non ci possano essere esercizi illegali, o tentativi di “forzare” l’offerta, in virtù di un possibile ampliamento della domanda, ma non è negando un diritto che si arginerebbe un fenomeno di illegalità, bensì, rinforzando rigore e controlli sull’impianto esistente.
Su temi delicati e importanti come questi, è abbastanza naturale trovare orientamenti divergenti; è dal confronto -anche se a volte aspro- delle posizioni e dalla dialettica che ne scaturisce, che si può trovare con intelligenza una sintesi. Quello che non andrebbe fatto e che a mio parere risulta quasi più dannoso di un diritto negato o concesso, è il processo che si sviluppa a monte.
Processo che massacrando l’analisi critica, consente di aderire pedissequamente a posizioni pregiudiziali e preconcette, spesse volte basate su ideologie, abbracciate da formazioni politiche per motivi di puro consenso elettorale e con la complicità megafonica di media asserviti e di riferimento.
Pur di orientare l’opinione pubblica, si ricorre anche al reperimento di personaggi e attori famosi o gente dello spettacolo, in veste di “testimonial” di una delle posizioni, ricevendo così un contributo alla costruzione della propria idea, basandosi sul: “se lo dice Tizio?, se lo pensa Caio?”, finendo per narcotizzare quel po’ di senso critico necessario alla ricerca dei dati, utili alla formazione di un’opinione possibilmente equilibrata.
Concludo questo piccolo contributo “tecnico” e “civico”, sottolineando che Adottare un Bambino, è sempre un atto d’amore che merita rispetto e non può essere mercificato da nessuna ideologia e da nessun egoismo pseudo genitoriale.
Adottare e concepire un figlio, è solo il primo passo a cui far seguire una Genitorialità a contenuto valoriale, civile e consapevole, capace di accompagnare il bambino verso l’autonomia del divenire Adulto. Un atto d’amore che non si esaurisce ne con l’averlo messo al mondo, ne con l’atto dell’adozione, ma continua con coerenza e responsabilità, per tutta la vita, anche se con modalità e sfumature cromatiche differenti.
Chi è capace di sostanziare tutto questo in un progetto, riempie di significato il termine Genitorialità, il resto è rumorosa faziosità da stadio, aggregata in tifoserie sbraitanti.
Ribadendo il rispetto per tutte opinioni, auspico che gli integralismi, lascino presto il posto all’intelligenza e al dialogo, quali premesse di un processo educativo di crescita sociale.