- E come potevano noi cantare
- Con il piede straniero sopra il cuore,
- fra i morti abbandonati nelle piazze
- sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
- d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
- della madre che andava incontro al figlio
- crocifisso sul palo del telegrafo?
- Alle fronde dei salici, per voto,
- anche le nostre cetre erano appese,
- oscillavano lievi al triste vento.
Alle fronde dei salici è la lirica d’apertura contenuta nell’opera poetica Giorno dopo giorno (1947). Questa raccolta avviava la seconda fase della produzione di Quasimodo e ne testimonia il “momento civile”, ispirato alle vicende della seconda guerra mondiale. Il poeta vede nella disumana realtà del suo tempo una tragicità di dimensione biblica e fa sua l’espressione di sconforto di un profeta ebraico durante l’esilio del suo popolo a Babilonia: “Abbiamo appeso ai salici le nostre cetre…Come potremmo cantare in terra straniera?”. Con accenti e immagini bibliche Quasimodo dichiara le ragioni del tacere della poesia in tempo di guerra: di fronte all’oppressione straniera, ai morti abbandonati, alle sofferenze dei bambini, alle torture, il poeta rinuncia, si chiude nel silenzio, sacrificando il suo bene più prezioso: la poesia; così come gli ebrei, durante la prigionia in Babilonia, non riuscivano a cantare i loro salmi ed avevano appeso le loro cetre sulle fronde dei salici. Anche l’arte muore, quando muoiono i sentimenti più elementari di pietà e di umanità; di conseguenza la cetra, strumento e simbolo della poesia, rimane appesa agli alberi, inutilizzata, in attesa che tornino le condizioni del vivere civile. Quasimodo esprime la sua concezione della poesia: il poeta deve essere attento al mondo circostante e provare dei sentimenti per esso, talvolta talmente forti da impedirgli di comporre. La poesia cioè non deve essere estranea al mondo, ma avere un ruolo sociale attivo, contribuendo allo sviluppo della società.