Roma – Il 26 Gennaio 1979, davanti la propria abitazione, a soli 53 anni moriva Mario Francese, colpito a morte da un commando mafioso,giornalista di punta del Giornale di Sicilia. Il cronista lasciava la moglie e un figlio di 13 anni, Giuseppe, che ne seguirà le orme. Moriva uno dei buoni, un giornalista che nella lotta tra bene e male per le strade di Palermo, si era schierato a favore dello Stato, un giornalista che grazie al suo acume aveva intuito più di ogni altro l’organizzazione interna a Cosa Nostra e l’importanza sempre maggiore della famiglia dei Corleonesi. La passione per il giornalismo d’inchiesta e per la ricerca della verità, guidarono sempre la penna del cronista siracusano. Sin dai suoi primi articoli prima per l’Ansa e poi per la “Sicilia”, manifestò la sua bravura e tutta la sua passione per la ricerca della verità. Dopo una decina d’anni arrivò per Francese il salto di qualità: Girolamo Ardizzone, direttore del Giornale di Sicilia, lo chiama e gli affida la cronaca giudiziaria. Proprio per proseguire la sua carriera da giornalista, all’età di 44 anni, nel 1968, lascia un comodo lavoro alla regione, come capo ufficio stampa dell’assessorato del Lavori pubblici. La prima guerra di mafia entra nel vivo nel 1962 e con essa anche l’attività di giornalismo investigativo di Mario Francese. Sin dalla Strage di Ciaculli è il primo giornalista a parlare apertamente di mafia, in anni in cui ancora a Roma,si negava pure l’esistenza dell’organizzazione mafiosa. Con il suo genio, ha saputo ricollegare ogni singolo omicidio, ogni singolo evento di cronaca, anche quello più insignificante, alla matrice mafiosa alla quale apparteneva. L’apice della sua carriera arrivò alla fine degli anni ’60, quando assistette al processo contro Cosa Nostra a Bari; le udienze del processo furono 47 e occuparono quasi 3 anni. La corte di Bari comunque emise nel 1969 64 assoluzioni per 64 imputati, nonostante le prove schiaccianti a loro carico. Dopo il processo di Bari, il giornalista si buttò a capofitto nei suoi articoli e continuò a svelare i segreti di Cosa Nostra; nel 1971 passò alla storia come l’unico giornalista in grado di intervistare Antonietta Bagarella, sposa di Totò Riina, seguendola in una delle stanze del Tribunale di Palermo. Il cronista successivamente si fece notare al processo contro il prete di Carini che si era affiliato a Cosa Nostra: si racconta che durante una delle udienze, il giornalista si avvicinò al pubblico ministero in difficoltà durante l’interrogatorio al prete siciliano e gli suggerì le domande da fare. Per tutta risposta, il prete accortosi di tutto, lo guardò e gli sussurrò da lontano “Cornuto”. Nel frattempo aveva tessuto una fitta rete di informatori all’interno delle taverne della città e continuava le sue indagini su Cosa Nostra. Nel triennio 77-79 scrisse molti articoli sulle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici: l’inchiesta sulla costruzione della diga di Gancia, per il quale erano stati stanziati dalla Cassa del Mezzogiorno 350 miliardi di lire, gli fu fatale. La cosca Corleonese, infastidita da un giornalista troppo attento e troppo coraggioso nel raccontare la verità, decise di porre fine alla sua vita quel 26 Gennaio 1979; fu l’inizio di una stagione di omicidi eccellenti e della conquista di Cosa Nostra da parte dei Corleonesi. Lo ha ricordato a 37 anni dai fatti, il presidente del Senato Piero Grasso sulla sua pagina Facebook: ”Me lo ricordo bene Mario Francese. Veniva quasi tutti i giorni a trovarmi quando ero un giovane sostituto alla procura di Palermo: mi chiedeva scherzando «C’è niente? Qual è il menu di oggi?» e mi raccontava delle voci che raccoglieva in mezzo alla gente. Con le sue inchieste giornalistiche intuì che i Corleonesi stavano cambiando strategia e si interessavano sempre più ai grandi appalti. Seguiva attentamente un’indagine che stavo svolgendo sulle espropriazioni miliardarie dei terreni per la costruzione della diga Garcia, (…) Fu il primo cronista a fare il nome, sul Giornale di Sicilia, di Totò Riina e delle imprese a lui collegate.”. Doveroso ricordare un uomo che si è gettato con tanto coraggio alla “caccia” di Cosa Nostra, e ancor più doveroso è ricordare chi come lui, lottò in prima linea per dare un’informazione corretta e veritiera, senza nessun limite e nessun omissis: Mauro de Mauro, Giuseppe Fava, Peppino Impastato, Giancarlo Siani, Beppe Alfano sono solo alcuni dei nomi di quelli che morirono nella loro lotta giornalistica personale alle mafie.
(Salvatore Gabriele Imperiale)