“Si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla.” Questa è una delle fasi della preparazione del mitico piatto culinario siciliano, descritta da Andrea Camilleri nel suo libro “Gli arancini di Montalbano”. Croce e delizia della cucina siciliana, uno dei più amati piatti tipici, ha origini antichissime: l’Emiro arabo IbnatTimnah attorno al 1200, in pieno medioevo, inventò il timballo di riso, prima tappa verso la mistica palla di riso; inoltre gli arabi, durante gli anni di occupazione, introdussero l’uso dello zafferano, uno degli ingredienti base del piatto made in Sicilia. Secondo la tradizione, la “panatura” del riso, una delle fasi fondamentali nella preparazione della pietanza, si deve invece al genio di Federico II. Proprio questa modifica permiseal sovrano di mantenere al meglio lo stato delle palle di riso durante i suoi viaggi o durante le sue battute di caccia.Passando i secoli la palla di riso ha subito modifiche di ogni genere: dalla forma agli ingredienti. E’ cambiata, si è migliorata, ha deliziato migliaia di siciliani e poi da loro è stata esportata in tutta Italia. Nelle città il piatto è stato servito e offerto al pubblico, gli Italiani dal canto loro hanno apprezzato e in quasi tutti i bar d’Italia si trova in vendita al costo medio di 1 euro. Si è sviluppata nei secoli però una vera e propria battaglia sull’etimologia del nome della deliziosa pietanza; la Sicilia è sempre stata terra stupenda, terra di bontà culinarie e non, terra altresì di conquista e di divisioni. I siciliani, oltre a battersi per il titolo di città fondatrice della pietanza, si sono divisi anche sul nome da darle. La parte Occidentale dell’isola con in testa Palermo dove il piatto è nato, ufficialmente ha assegnato il nome di “ArancinA”; la parte orientale ha assegnato quello di “ArancinO”. Una diatriba che dura da secoli, sin dalla nascita del mitico piatto, e che è stata oggetto di discussione di generazione in generazione. La questione ovviamente venne toccata e ritoccata per secoli, molti studiosi, storici, antropologi e linguisti si misero a lavoro per dare una versione ufficiale sul problema. I primi chiarimenti sulla questione etimologica arrivarono comunque nel 1800: lo storico palermitano Gaetano Basile infatti affermò la femminilità del piatto, dato che il nome “Arancina” deriva dal frutto dell’arancio, l’arancia, che in italiano è al femminile; questa l’argomentazione dei siciliani d’Occidente. I siciliani d’Oriente invece, fanno appello prima al dizionario siciliano-italiano Biundi e poi a quello del Traina: in entrambi compare il termine siciliano arancinu al maschile; si, proprio al maschile, anche se “arancia” è un nome femminile. La diatriba non sembra poter aver fine, le due parti non vogliono sentire ragioni o scuse, pensano entrambe di aver ragione e non riconoscono l’etimologia altrui. In una città come Roma per esempio può capitare di imbattersi nell’uso dei due nomi a seconda della tradizione seguita dallo chef. Comunque sia il professor Giovanni Ruffino, docente di linguistica italiana e corrispondente della Crusca, ha dichiarato la femminilità del piatto e ha messo in crisi anche i più strenui sostenitori della virilità delpiatto di origine araba.Diatribe etimologiche a parte, l’arancina\o nato come un cibo popolare e semplice da realizzare ha stuzzicato e stuzzica palati raffinati e non, e soprattutto è un piatto unico, originale e inimitabile, e almeno su questo i siciliani non discutono.
Gabriele Imperiale