Editoriale – Quotidianamente ascoltiamo la parola “Stato” diverse volte, se ci capita di ascoltare la radio, vedere la tv, o nel leggere notizie sul web e sui social media. Lo stato di diritto, lo stato di fatto, lo stato delle cose che la gente vive. Tutto riconduce sempre a questo Stato per noi italiano che dovrebbe coincidere con una Repubblica. Prima, seconda o terza poco conta; i principi costituzionali permangono inalterati nel tempo che passa. Lo Stato in fondo, come è nella eziologia della parola è un qualcosa che c’è. C’è nel diritto di avere, di far rispettare parte delle regole, ma non a tutti. Uno stato assistenzialista ma solo per chi viene da fuori. I poteri dello Stato. Alcuni sono sanciti dalla costituzione stessa, e lì il popolo può fare ben poco, ma a livello parlamentare il popolo è vittima di se stesso. Doppiamente però. Perchè se da una parte ha come unica arma il voto; dall’altra lo stesso viene ignorato con l’attuale sistema che di fatto consente allo Stato di diritto di nominare lo stato di fatto più congeniale al sistema in atto. Una finta evoluzione non riesce nemmeno piu’ a mascherare una staticità conservativa degna della migliore prima repubblica. Lo Stato che dovrebbe assicurare il diritto al lavoro non c’è; ma quello che continua a mantenere privilegi inaccettabili sì. E’ il sistema che si è ingarbugliato su se stesso, non per volere del popolo ma per la regia di una corporazione che intende ricreare vecchie condizioni di ceto sociale. Riuscendovi egregiamente. Il popolo dello Stato si lamenta ma non agisce. Il sistema è riuscito a collocare in sonno perfino le rivolte sindacali e quelle studentesche tanto in voga in altri periodi storici. Non va bene niente, ma deve andare comunque bene tutto, perchè c’è lo Stato; uno, nessuno, centomila…