Cuba. Un appuntamento atteso sotto molti punti di vista quello della visita di Papa Franceco a Cuba. I riflettori sono puntati su molti aspetti, internazionali, etici, religiosi e anche di natura politica. Ma la risposta è stata oltre ogni immaginazione, mezzo milione nella Plaza della Revolution a L’Avana. E tutto sotto lo sfondo stilizzato di Ernesto Che Guevara de la Serna. «Il popolo cubano è fatto di gente che ha delle ferite, come ogni popolo, ma che sa stare con le braccia aperte, che cammina con speranza, perché la sua vocazione è di grandezza». Sono le parole che Papa Francesco ha sommessamente prounciato nell’omelia – «Il Santo Popolo fedele di Dio che vive a Cuba – ha aggiunto Bergoglio – è un popolo che ama la festa, l’amicizia, le cose belle. È un popolo che cammina, che canta e loda» è l’omaggio di Bergoglio a Cuba. Alla messa nella piazza simbolo della rivoluzione cubana, dove oggi campeggia un grosso crocifisso di fianco alle gigantografie dell’eroe della resistenza castrista Che Guevara e di uno dei padri dell’indipendenza, José Martì, ci sono anche ilpresidente cubano Raul Castro e la presidente argentina Cristina Kirchner, arrivata nell’isola sabato sera. Per l’arrivo del Pontefice è stata innalzata nella piazza una grande scritta murale, «Misionero de la misericordia». Seguendo le orme di Giovanni Paolo II nel 1998 e di Benedetto XVI nel 2102, Papa Francesco ha affidato il popolo cubano alla Vergine: «Madre santa, ti affido questi tuoi figli di Cuba, non abbandonarli mai!». Il Papa, nella sua omelia, ha parlato di disgelo e pace, due temi già toccati nel discorso di sabato, appena sceso dall’aereo. Mettere in campo ogni sforzo per una «definitiva riconciliazione», «la pace sia duratura. Per favore, non possiamo permetterci un altro fallimento in questo cammino di pace e riconciliazione», ammonisce il Papa, che già aveva parlato di pace e di un mondo che vive, suo malgrado, un clima di terza guerra mondiale. «Abbiamo ascoltato nel Vangelo come i discepoli avevano paura di interrogare Gesù quando parlava della sua passione e morte. Li spaventava e non potevano comprendere l’idea di vedere Gesù soffrire sulla croce. Anche noi – ha osservato il Papa – siamo tentati di fuggire dalle nostre croci e dalle croci degli altri, di allontanarci da chi soffre». Poi, l’appello per ogni cristiano affinché «impariamo tutti a vedere Gesù in ogni uomo sfinito sulla strada della vita; in ogni fratello affamato o assetato, che è spogliato o in carcere o malato». Poi la conclusione, con un messaggio politico. «Non si servono le ideologie, ma le persone. Chi non vive per servire, non serve per vivere». Il papa ha spiegato: «Dobbiamo guardarci dallo sguardo che giudica e incoraggiarci – ha ammonito Bergoglio – a credere nello sguardo che trasforma, al quale ci invita Gesù. Questo farci carico per amore non punta verso un atteggiamento di servilismo, al contrario, pone al centro della questione il fratello: il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a soffrirla, e cerca la sua promozione. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone».