Roma. Il tasso di disoccupazione giovanile sale al 44,2% a giugno e tocca il livello più alto dall’inizio delle serie storiche mensile e trimestrali, nel primo trimestre 1977. La disoccupazione aumenta di 1,9 punti dal mese precedente, ma al tempo stesso si riduce il tasso di inattività di 0,2 punti fino al 74%. Dal calcolo del tasso di disoccupazione, sottolinea infatti l’Istituto di statistica, sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. Secondo l’Istat, il calo dell’occupazione registrato a giugno riguarda i più giovani. Gli occupati 15-24enni diminuiscono del 2,5% rispetto a maggio (-22 mila). Il tasso di occupazione giovanile, pari al 14,5%, diminuisce di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente. Il numero di giovani disoccupati aumenta su base mensile (+5,2%, pari a +34 mila). L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari all’11,5% (cioè poco più di un giovane su 10 è disoccupato). Tale incidenza aumenta nell’ultimo mese di 0,6 punti percentuali. Non si sono fatte attendere le reazioni politiche e dei sindacati. In primis, la Cgil che critica ancora una volta il Jobs Act: «I dati Istat, che evidenziano le oscillazioni mensili dell’occupazione, soprattutto quella giovanile, l’instabilità di quest’ultima e il legame proporzionale tra inattivi e disoccupati, dovrebbero trasformarsi in un elenco programmatico per il governo – commenta il segretario confederale della Cgil Serena Sorrentino – è ancora possibile modificare radicalmente il Jobs act e varare vere politiche attive, un sistema di ammortizzatori che risponda alle esigenze del mercato del lavoro, e un piano che crei nuova occupazione». Per niente d’accordo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, secondo cui «i numeri di giugno confermano, che siamo di fronte a dati soggetti a quella fluttuazione che caratterizza una fase in cui la ripresa economica comincia a manifestarsi»: «Il tasso di occupazione – aggiunge Poletti – resta sostanzialmente invariato». Nei dati provvisori, l’Istat rivela inoltre che l’inflazione si è attestata a luglio allo 0,2% annuo, lo stesso livello registrato a giugno. Nell’ultimo mese i prezzi al consumo sono calati dello 0,1%. Al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici, l’inflazione di fondo sale allo 0,8% (era +0,6% a giugno). Stabile l’andamento dei prezzi al netto dei soli beni energetici (+0,8%). L’inflazione acquisita per il 2015 è pari a +0,1% (era +0,2% a giugno). La stabilità dell’inflazione è dovuta a dinamiche differenziate per le diverse tipologie di prodotto: l’attenuazione del calo tendenziale dei prezzi degli Energetici regolamentati (-1,0%, da -3,6% di giugno) e l’accelerazione della crescita su base annua di quelli di alcune tipologie di servizi bilanciano le spinte al ribasso dei prezzi degli Energetici non regolamentati (-8,6%, da -7,2% del mese precedente) e degli Alimentari non lavorati (+1,6%, da +2,1% di giugno). Tutti dati, che parlano chiaro dunque, ma che poco sono considerati dalla politica che continua a fare le orecchie da mercante.