San Berillo è un quartiere storico del cuore della città di Catania, un tempo abitato da bottegai, artigiani e prostitute, quasi in simbiosi fra di loro. Negli anni ‘50 e ’60 fu raso al suolo per dare spazio a un progetto ambizioso, mai compiuto, dove si prevedeva una zona nuova immersa nel commercio, la realizzazione di un teatro e di un cinema, un moderno quartiere immaginato come il salotto buono della città, quasi fosse la Parigi del sud. Oggi, quel quartiere è cadente e degradato, popolato dalle “scaglie”, prostitute e trans, rifiuti della società, a bocca dei falsi moralisti. Il libro, il cui titolo è: “San Berillo. Un Santo a luci rosse”, edito dalla casa editrice Croce, è alla sua seconda edizione riveduta e corretta di San Berillo, scritto a quattro mani da Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese, entrambi docenti letterari e amici nella vita, uniti dalla stessa passione per le emozioni forti. La loro intenzione è quella di migliorare un quartiere da risanare e valorizzare il mestiere più antico del mondo, la prostituzione, sfatando i tanti tabù che si celano dietro a un’artificiosa moralità. Un luogo in cui, uomini ricchi e uomini poveri, con le brache abbassate sono tutti uguali, perché il piacere sessuale non guarda in faccia certi stati sociali. Il racconto è narrato da Turi, all’anagrafe Salvatore, presidente di un’associazione culturale di Catania, attraverso i ricordi di Francesco, un trans maturo con l’età ma ancora desiderato dai suoi tanti clienti. Ne esce fuori un’intervista a tratti spumeggiante, realizzata da Igor, free-lance, un dandy della Milano perbene. Francesco non rimpiange la sua scelta di vita, quella di aver preferito la strada anziché stare dietro la scrivania di un ufficio. Chissà? Magari rimpiange l’affetto dei suoi familiari, del padre e della madre, per un figlio che da cigno si è trasformato in donna, ricoperto di paillettes e lustrini per far piacere ai suoi clienti abituali.
La lettura dell’opera è scorrevole e ben raccontata, dove non mancano le battute in dialetto siciliano dette con toni caldi di un malinconico passato che mai più ritornerà. E non basterà indossare una parrucca e avere delle tette finte per cancellare la propria identità, quella che il Buon Dio ha dato loro alla nascita e rinnegata con l’età adulta. Forse, Francesco è lo stesso uomo che alberga in ognuno di noi, con i suoi tic e quelle lacrime mai versate, per un futuro tutto da riscrivere e ancora da svestire. San Berillo è un quartiere a luci rosse, spento di giorno e vivo di notte, dove si veste a festa per accogliere clienti, turisti e semplici curiosi del sesso a pagamento. Lo stesso quartiere che qualcuno vorrebbe annullare per sempre, come la ferita di una città che vuole dimenticare le origini del peccato. Il racconto, per i suoi contenuti piccanti ed espliciti, non si può considerare una lettura per soli adulti, in giro c’è di peggio, semmai per quelle persone che amano ricordare la tradizione di un passato adolescenziale e che forse non ritornerà mai più. “Non abbiamo paura del serpente. Ben venga la tentazione. Quella di mordere la vita, senza preoccuparsi se la carne è diabolica”.