Di Antonio Agosta (Redazione Sicilia)
Vi è un acceso dibattito sulle elezioni dei Consigli degli ordini circondariali forensi, non solo per l’entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 3, comma 3, secondo periodo, l. n. 113/2017, che sancisce l’ineleggibilità degli avvocati che hanno già espletato due mandati consecutivi, ma anche, e soprattutto, a seguito del recentissimo principio sancito dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte con sentenza n. 32781/18. Di questo ne parliamo con Pasquale Mautone, avvocato cassazionista, docente in “Diritto del Lavoro” presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e delegato al Congresso Nazionale dell’Avvocatura di Rimini.
Avvocato cosa pensa di tale delicata questione?
Mi sia consentita una precisazione. Mi ero ripromesso di non intervenire su questa amara vicenda, per evitare inutili polemiche con i cd.“ineleggibili” che perseverano, asserragliati nei loro fortini a spiegare la legittimità della loro “candidabilità” ed “eleggibilità”.
Dal dibattito scaturito mi è parso doveroso, per il rispetto che porto prima alla toga e poi a me stesso, riaffermare con forza i principi di Diritto e di Giustizia sui quali quotidianamente ci battiamo; tal per cui, anche se qualche amico dovesse girarmi la faccia in Tribunale, pur di contribuire, responsabilmente, ad affermare i suddetti principi e soprattutto perché la legge è generale ed astratta, correrò questo rischio.
Il mio unico interesse è la salvaguardia dei valori costituzionali dell’Avvocatura.
Possiamo affermare che le Sezioni Unite della Cassazione hanno “sconvolto” le feste all’avvocatura italiana?
Questa sentenza ha una portata storica ed ha una funzione prima di tutto di nomofilachia, ovvero la funzione di garantire l’osservanza della legge, la sua uniforme interpretazione e l’unità del diritto nello Stato. Consideri che l’Avvocatura italiana, ovvero la sua rappresentanza (da non confondere con rappresentatività), sempre più legata alle lobby e sempre meno all’idea della “giustiziabilità dei diritti”, si è fatta cogliere completamente impreparata nell’ultimo decennio ad affrontare la crisi della complessa società italiana e le profonde modifiche del welfare state.
Il principio enunciato stabilisce, alla luce delle regole processuali stabilite per i giudizi in Cassazione, che il Giudice del rinvio deve necessariamente uniformarsi e, nel caso di specie, il Giudice del rinvio è il Consiglio Nazionale Forense (CNF), poiché la Corte testualmente afferma: “Accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la gravata sentenza e rinvia al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione, compensando le spese del presente giudizio di legittimità”.
E adesso, avvocato, cosa succede?
Saranno costretti a prendere atto della decisione del Supremo Collegio. Se continuano in questa cd. “serrata” saranno travolti da una damnatio memoriae. Ancor peggio se qualche politico interessato ci metterà la manina.
Addirittura?
Guardi: l’attuale classe dirigente del Mezzogiorno vive sul principio “uno vale uno”, e dopo il secondo mandato scatta l’ineleggibilità, figurarsi se modificano una norma per gli altri, quando in casa propria adottano lo stesso principio!
Poi per carità “la politica e’ l’arte del possibile”, per dirla con Bismarck.
Può esprimere una sua valutazione in merito ai diversi contrasti di cui si sta discutendo recentemente, con riferimento ai mandati espletati, se pur solo in parte, prima del 21 luglio 2017, data di entrata in vigore di detta legge.
La Corte di Cassazione, a sezioni unite, non lascia dubbio alcuno sulla lettera e sulla ratio del legislatore in tema di elezioni dei Consigli degli Ordini circondariali forensi: i consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, cioè non sono eleggibili gli avvocati che abbiano già espletato due mandati consecutivi (esclusi quelli di durata inferiore al biennio ai sensi del comma 4 del medesimo art. 3 legge 113/17) in qualità di componenti dei Consigli degli Ordini Forensi.
Qual’è l’auspicio?
La sentenza ha sollevato una profonda diatriba ed emergono fantasiose posizioni contrastanti: da improbabili interpretazioni, all’appoggio pieno al responso “inequivocabile” della Cassazione. In ogni caso, onore a quei pochi colleghi candidati al rinnovo delle cariche che hanno fatto dignitosamente un passo indietro, ritirando la propria candidatura.
Appare ultroneo sollevare il problema in termini di “conservatorismo”, poiché anche un giovane studente di giurisprudenza saprebbe ben interpretare la norma di cui si discute, dato che il diritto è prima di tutto logica e poi applicazione dei principi generali dell’ordinamento.
Si consideri, inoltre, che la (censurabile) logica mandamentale della raccolta del consenso e le note incrostazioni dell’infortunistica stradale (soprattutto nel Sud del Paese) hanno completamente degradato il ruolo di “guida” dell’avvocato, per dirla con Brecht. Ovviamente non possiamo meravigliarci se il Guardasigilli (da avvocato, ed in questa sede appare opportuno evitare ogni ulteriore valutazione) ci etichetta come “azzeccagarbugli”! Occorrerà avviare una nuova stagione di ricorsi (vedansi Brescia), di interpretazioni e di distinguo e, certo, non basteranno i pareri pro veritate a modificare una questione che prima che giuridica ha valenza morale, ideologica e soprattutto etica. L’auspicio? Rinsavire: ovvero tornare ai valori dei nostri Maestri che ci hanno avviato a questa nobile professione ed infine ricordare che in Cassazione spesso si è soccombenti. In questi casi, di sicuro, non chiameremo l’assistito per dirgli che occorre un parere pro veritate (come avvenuto all’Ordine di Catania), per disattendere la sentenza. Pur guardando con attenzione all’associazionismo forense ed al suo proficuo impegno, occorre sottolineare con più tratti di penna che siamo chiamati a dare un esempio, un modello professionale alle giovani generazioni.