Editoriale – Nel 1983 uscì Il Maestrone di Francesco Guccini. Anche questa fu, tra le altre l’occasione per apprezzare la sua melodia e poesia fece giungere la sua poesia in un brano di speranza: Shomer ma mi llailah? Potrà anche apparire strano che una canzone di questo cantautore marcatamente di sinistra e anticlericale pura sia stata ispirata alla Bibbia.
Ma da uomo di cultura Guccini, non ha tralasciato nella sua formazione di uomo e artista nemmeno i testi sacri e dalla lettura del libro di Isaia, Capitolo 21, trovò l’spirazione per scrivere un inno alla curiosità, alla voglia insaziabile di apprendere e di non stancarsi di conoscere. La canzone prende il titolo proprio dalla frase cruciale del capitolo, appunto Shomer ma mi llailah, mantenendola in lingua ebraica originale Il significato della frase è del tutto particolare e appare anche slegata dal racconto, potrebbe non voler dire nulla, ovvero <<Sentinella, quanto resta della notte?>>. Ma c’è un qualcosa di esoterico in questa melodia, che nonostante il tempo trascorso a terzo millennio avanzato presenta ancora tutto il suo realismo attualizzato.
Il racconto è ambientato in un luogo non ben definito quasi a voler estendere gli orizzonti del pensiero all’isola di Thule. Forse un deserto o i confini dell’emisfero. E questa sentinella, messa di guardia, viene sorpresa dalla domanda di uomo (forse un viandante o un pellegrino), appunto <<Sentinella, quanto resta della notte?>>. La sentinella offre una risposta aleatoria, inconcludente:<<La notte sta per finire, ma l’alba ancora non è giunta. Tornate, domandate, insistete!>>. La metafora, come ebbe modo di spiegare poi Guccini, è sulla condizione umana.
L’uomo, da sempre, si pone domande a cui non avrà mai risposta. Le prime due strofe della canzone servono a collocare e a spiegare chi sia questa sentinella, “guardiano eterno di non so cosa, cerco innocente o perché ho peccato la luna ombrosa“. Quest’uomo, che si percepisce come “l’infinita eco di Dio“, resta immobile a subire il tempo nell’attesa che qualcun altro venga a porgli delle domande come “un lampo secco” o un “notturno grido“. Ma è nella terza ed ultima strofache si esemplifica appieno il significato maestoso di questa canzone (e del racconto di Isaia) dove, finalmente, il viandante è giunto e la sentinella può lanciare la sua risposta e il suo invito a non stancarsi di conoscere, di ritornare ancora e domandare ancora e ancora.La canzone chiude con concetti che evidenziano la nullità dell’uomo nei confronti dell’immensità del “tutto” e dell’impossibilità di far sopravvivere nel tempo, qualsiasi cosa di umano. “Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni, e resteranno di uomini e idee, polvere e segni“. Un brano di alto valore poetico, morale, esoterico, religioso e nel contempo rivolto ai bordi dell’infinito sul traguardo della vita che inesorabilmente andrà prima o poi a concludersi.