Il dramma che coinvolge una famiglia quando un suo componente entra nel tunnel della droga non è facile da affrontare: la paura e la rabbia di un genitore si scontrano con la psicologia alterata di un figlio che ha abdicato il controllo della propria vita alle sostanze stupefacenti ma che, con pervicacia, dirotta quel che resta della propria volontà per non abbandonare la strada della tossicodipendenza. I precari equilibri psicologici di una famiglia devono fare i conti anche con il quadro clinico di un figlio, che fisicamente deperisce e psicologicamente vede alterata la propria personalità. Il primo passo da fare è anche il più difficile: risconoscere un problema di droga all’interno della famiglia. Accettare questa situazione. La difficoltà sta sia dalla parte della persona tossicodipendente sia da parte del nucleo familiare: chi inizia a fare uso di droga non ha nelle prime fasi comportamenti differenti dal solito perché è convinto di poter gestire la situazione e di poter smettere quando vuole; d’altra parte, anche la famiglia, finché la dipendenza non inizia a dare avere evidenti disturbi dell’umore e della comunicazione, può cercare di allontanare i propri sospetti, nella speranza di sbagliarsi o che tutto rientri spontaneamente nella norma.
Conoscere le droghe e i loro effetti è fondamentare per affrontare il problema: la famiglia deve saper riconoscere i segnali e prendere coscienza dei rischi per ora e per tempo, perché la resistenza di un figlio “scoperto” si trasforma presto in chiusura, se non addirittura in netto antagonismo e violenza.
L’indifferenza e l’insofferenza per gli interessi di sempre, gli amici di sempre, i doveri di sempre, prendono il sopravvento, e la partecipazione a qualsiasi cosa – vita familiare, lavoro, studio – si fa debole. Occhi arrossati, sorriso immotivato, frequenti momenti di assenza mentale, predilezione per i dolci fanno sospettare l’uso di hashish o marijuana. Occhi lucidi, pupille a spillo, tendenza a grattarsi, sonnolenza, inappetenza, vomito, dimagrimento per l’eroina. Rapidissimi sbalzi d’umore, dall’euforia all’abulia, ingiustificati movimenti della bocca, pallore di labbra e lingua per la cocaina.
Non si può aiutare chi non vuole essere aiutato
Uscire dal tunnel dalla droga non è possibile senza che la persona tossicodipendente lo voglia. Lo stimolo a uscirne deve essere interiorizzato dalla persona interessata, perlomeno se si vuole che il programma di recupero funzioni e non lasci spazio a ricadute. Ad aiutare tossicodipendente e famiglia possono essere i servizi pubblici e i centri di recupero, ma fin troppo spesso la strada è senza alcuna uscita. Qui entra in gioco l’amicizia, che per i suoi valori ed effetti può riuscire con mezzi efficaci e determinati a salvare una vita, laddove la famiglia non può, o semplicemente non riesce non perchè non vuole ma semplicemente perchè non può. Abbandoniamo dunque l’omertà, prendiamo consapevolezza di un problema, e riscopriamo il valore di poter/dover aiutare, magari riusciamo a salvare una o più vite umane.
Daniele Imperiale