di Alessandra D’Andrea
ROMA – Lui è Sasha Donatelli modello ed attore ventiquattrenne di origini abruzzesi con sangue americano nelle vene, che si divide tra Roma, Milano e buona parte delle passerelle internazionali con la sua faccia pulita e la determinazione di chi, malgrado la giovane età, ne ha vissute tante. Incontrarlo durante una pausa di lavoro, tra uno shooting fotografico e l’altro, non è stato semplice ma ne è valsa la pena: fisico statuario, sguardo magnetico ed un entusiasmo travolgente, difficile non restarne ammaliati. Da giovane promessa del calcio abruzzese, che è costretto a lasciare in seguito alla diagnosi di pubalgia cronica, a testimonial per famosi brand della moda nazionale ed internazionale, da Chieti a Chicago, passando per l’accademia di recitazione ed il cinema.
E quindi, Sasha, una volta abbandonato il sogno di una carriera calcistica, nemmeno diciottenne, ti trasferisci a Chicago e…?
Si, mi trasferii da mia zia per una vacanza studio e qui un amico italo-danese, che sfilava per Hollister California, il brand beachwear di Abercrombie & Fitch, mi presentò la responsabile dello shop nella Water Tower, la quale, dopo un servizio fotografico, mi propose di lavorare per loro. E così diventai modello, stando alla porta in jeans ed infradito, a rappresentare lo spirito, l’immagine dello shop stesso. Iniziò la mia svolta all’interno di quella che era nata come una semplice vacanza studio: prolungai il permesso di soggiorno per un anno ed essendo ormai indipendente economicamente, lasciai l’appartamento di mia zia e andai a vivere con un collega, fino a quando iniziò la convivenza con una collega e modella serba più grande di me, per un anno e mezzo. E così, io che venivo da un paese dell’Abruzzo di poco più di tremila abitanti (Casalincontrada in provincia di Chieti. N.d.r.), mi ritrovai catapultato nel mondo della moda e dello stile di vita di una metropoli quale Chicago.
Il ritorno a casa, l’università, la famiglia e Il sogno di Safiria. Ti va di raccontarmi?
Finita l’esperienza americana, decisi di tornare a casa dai miei genitori. La mia famiglia stava attraversando un periodo problematico; in più mia madre iniziò ad accorgersi che la mia sorella minore, dopo la vaccinazione trivalente, sembrava sempre più assente, non attenta a ciò che la circondava e cresceva di meno rispetto ai bambini della sua età. Sembrava quasi si stesse chiudendo in un mondo tutto suo. Mio padre, ex parà, uomo duro e tutto d’un pezzo, ovviamente cercava di non alimentare le preoccupazioni di sua moglie ma lei non si diede per vinta ed iniziò, quindi, un periodo di visite specialistiche fino a che, presso lo Stella Maris di Pisa, arrivò la diagnosi definitiva per Safiria: spettri di autismo. Questa notizia ci colpì come un macigno e, vedendo mio padre per la prima volta in vita mia piangere, capì tutta la gravità di quello che ci stava capitando. Il sogno di Safiria è un progetto di raccolta fondi per poter effettuare visite nei migliori ospedali europei e affrontare la lunga battaglia legale, che ancora si trascina, per il riconoscimento della correlazione tra vaccino ed autismo.
Mi iscrissi quindi alla facoltà di medicina nella specialistica di radiologia e, anche se la carriera universitaria e medica mi ha cambiato la vita, per quello che ti lascia dentro lo stare a contatto con chi soffre, mi andava stretta ogni giorno di più. Lasciai tutto e partì per Roma.
A Roma inizia un periodo proficuo e ricco di impegni tra accademia, moda e cinema. Ti abbiamo visto in un piccolo ruolo nel film di Cristina Comencini con Paola Cortellesi e Micaela Ramazzotti, Qualcosa di nuovo.
Arrivo a Roma con pochi euro e tanta voglia di farcela e, malgrado un inizio non proprio roseo, posso ritenerlo un periodo fortunato. Riesco ad accedere ai corsi della Scuola di Teatro Fondamenta, alternando lo studio al lavoro in un negozio di cinesi, così da garantirmi una fonte di sostentamento. Dopo due anni interrompo l’accademia per seguire Randall Paul, attore e regista americano di successo che da Hollywood si trasferisce in Abruzzo per amore, il quale interpreta il ruolo di monsignor Marcinkus, nel film di Roberto Faenza sulla storia di Emanuela Orlandi, “La verità sta in cielo”.
Con lui mi accingo ad imparare la tecnica cinematografica, spogliandomi un po’ dal cliché teatrale di spirito prettamente accademico, raggiungendolo tutti i week end nella sua casa in Abruzzo per avvicinarmi a ciò che è il cinema e migliorare l’approccio con le sceneggiature, lavorando molto sulla precisione, le riprese e l’improvvisazione. La sua tecnica meticolosa cozzava però con il mio carattere un po’ frenetico e così, grazie alla conoscenza con l’aiuto regista Luca Padrini, inizio come stand in ( controfigura che sostituisce l’attore sul set nelle scene statiche in cui non viene inquadrato frontalmente. N.d.r.) del protagonista Edoardo Valdarnini, in Qualcosa di nuovo, film di Cristina Comencini, con Paola Cortellesi e Micaela Ramazzotti.
Il mio era quindi un impiego circoscritto a poche pose fino a che, nell’ultimo periodo di riprese, per un caso fortuito venne a mancare l’ attore che interpretava il ruolo di Carlo, il cameriere sexy. Venni proposto dal primo aiuto alla regia, Francesca Polich, per interpretare questa parte che la Comencini avvallò senza esitazione.
Ti abbiamo visto su molte riviste di moda e testimonial per i maggiori brand internazionali.
Quali i progetti futuri?
Sicuramente entrare nell’accademia di arte drammatica Silvio d’Amico, perché senza lo studio appassionato e folle non si arriva da nessuna parte. Non trascurando però la moda e gli impegni attuali, come quello di testimonial per il nuovo catalogo della Sony. Il tutto senza quella frenesia che mi caratterizzava nei primi anni di esperienza lavorativa, ma provando a prendermi il mio tempo per fare le scelte migliori per il futuro, valutando le proposte sia in Italia che all’estero. Più di questo ora non posso dirti finché non saranno delineati tutti i dettagli, che spero di poter condividere con te quanto prima.
Ringrazio Sasha per avermi trascinata nel suo mondo con la passione e l’entusiasmo che spero continuerà a contraddistinguerlo sempre e che sta tutto nel suo motto: fino alla fine!
Ad majora
Alessandra D’Andrea
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