Che cosa si intende per devianza? un comportamento non conforme alle aspettative culturali di base, ma è davvero così semplice il concetto? E’ raro che i confini fra ciò che è considerato normale e ciò che invece viene definito deviante, siano ben definiti, soprattutto perché non sempre le persone son d’accordo sul punto in cui tracciare una netta linea che distingua i due concetti; naturalmente la scelta di quale comportamento definire normale o deviante varia in base a due fattori principali: il contesto sociale e il periodo storico. Fu E. Durkheim ad analizzare il concetto di devianza tramite la prospettiva sociologica tenendo conto non dei singoli comportamenti ma concentrandosi sulla relazione che hanno con le norme sociali. Deviante non è il crimine in sé, bensì quell’azione che offende le norme sociali di base che costituiscono la coscienza collettiva, ossia quell’insieme di credenze e valori che vengono condivisi all’interno di una comunità; è importante inoltre ricordare che l’etichettamento di ciò che è deviante o normale varia in base ai cambiamenti sociali, può essere quindi definito come una risposta allo sviluppo sociale; ciò che in passato veniva etichettato come deviante oggi non lo è e viceversa. Tali “standard” venivano e vengono definiti tutt’ora da coloro che hanno il potere di consolidare un’etichetta e spesso questo potere appartiene alla maggioranza, costituendo l’idea di base sulla quale si fonda la teoria dell’etichettamento, la quale afferma che la devianza è il risultato di come un comportamento viene percepito da altri individui della società che vengono a contatto diretto o indiretto con esso. Se da una parte è presente il gruppo di coloro che hanno potere, dall’altra vi è il gruppo di coloro che subiscono il potere; spesso le persone etichettate come devianti interiorizzano questa caratterista che giunge a far parte della propria personalità ma, come spiegò il sociologo K. Erickson, la devianza non è una caratteristica innata, essa è una proprietà assegnata che comporta una serie di conseguenze negative, le quali si riversano su chi viene identificato come “diverso” e per questo sbagliato. Si giunge così allo stigma sociale: la vergogna associata ad un comportamento definito degradante ed inaccettabile all’interno di una società, con conseguente discriminazione ed isolamento per l’individuo che ne subisce gli effetti in diversi ambiti della sua vita. Sarà successivamente proprio questo etichettare che porterà alla così detta devianza secondaria, che consiste in un reale comportamento deviante adottato in risposta agli effetti della definizione negativa attribuita. Ma la devianza può essere analizzata soltanto attraverso tale approccio, oppure la sociologia ci permette di spaziare ed affrontare diverse prospettive? è solo sinonimo di sbagliato e negativo? soddisfacendo le curiosità del primo interrogativo è possibile affermare senz’altro che di prospettive da analizzare ce ne sono molte e tutte molto interessanti, le quali spiegano il concetto di devianza fornendo differenti chiavi di lettura. A volte può essere spiegata come un’immoralità individuale, appartenente quindi ad un preciso individuo, il cui comportamento appare inspiegabile e non conforme e viene di conseguenza definito malvagio; un secondo approccio ci permette di identificare la devianza come una malattia e quindi il confine che distingue normalità e devianza è analogo alla distinzione effettuata fra sano e malato. Il processo di identificazione di un comportamento deviante come una malattia che può essere curata da specifici medici, viene chiamato dai sociologi processo di medicalizzazione, il quale comporta due conseguenze fondamentali: da una parte permette di proteggere l’individuo etichettato da emarginazione e disprezzo ma d’altro canto rinforza la sua etichetta di persona malata, per tutta la vita. Oltre a tale processo ve ne è uno inverso, il processo di demedicalizzazione, che avviene quando la medicalizzazione si arresta o viene invertita, e questo è il caso dell’omosessualità che originariamente venne considerata una malattia e soltanto in seguito alle lotte degli attivisti omosessuali, nei tardi anni ’60, fu possibile apportare modifiche alla definizione iniziale: venne eliminata la parola “malattia” che conferiva tono degradante e scientificamente errato, e l’omosessualità fu classificata come disturbo di coloro che non erano soddisfatti della propria sessualità. Gli ultimi due approcci ci permettono inoltre di analizzare la devianza in termini di socializzazione: il primo ci permette di considerare la devianza come inadeguatezza sociale, ossia quell’incapacità dell’individuo di interiorizzare le norme sociali, mentre il secondo si concentra sulla devianza come frutto di interazioni sociali spiegandone le dinamiche nella teoria dell’associazione differenziale, la quale afferma come il comportamento non conforme possa scaturire dall’interazione con individui appartenenti ad un gruppo sociale deviante. Infine il secondo interrogativo ci fornisce già in parte una risposta; la devianza apporta anche diversi benefici in ambito sociale: permette una maggiore coesione fra i membri di un gruppo che lottano contro un nemico comune; ridefinisce i confini di un gruppo, che vengono delineati dalla scelta di ciò che è giusto o sbagliato, in base alle credenze del gruppo stesso, portando così all’emarginazione di chi non si attiene a determinate norme; il concetto di devianza è anche sinonimo di innovazione e cambiamento, poiché, come affermava ancora una volta E. Durkheim, è grazie ai soggetti devianti, che spingono contro i confini stabiliti, che vi è progresso all’interno delle diverse società, le quali, se fossero totalmente conformiste darebbe vita a repressione, limitando le abilità dell’uomo. Un comportamento è deviante soltanto se definito come tale, non esiste di per sé nulla che sia davvero sbagliato se non dopo essere passato prima sotto le mani dell’uomo!
(Morena De Luca)